Pubblica o privata?
La sanità sia efficace

Avventarsi indiscriminatamente sulla sanità a causa delle vicende di alcune case di riposo lombarde sarebbe come sparare sulla Croce Rossa. Al tempo stesso, non si può ricondurre la falcidie di anziani morti in situazioni sospette a pura casualità. Sarebbe un oltraggio alla memoria di tanti morti e un’ingiustizia per i loro familiari. Le inchieste devono farsi e subito - a dispetto di chi dice il contrario - sia perché è bene che i responsabili rispondano delle loro azioni, sia perché la Costituzione obbliga i pubblici ministeri, in presenza di una «notizia di reato», a indagare. La vicenda è particolarmente spinosa e merita attenzione, dedizione, accuratezza da parte della magistratura.

Non è pensabile che – mentre medici e infermieri lottano contro un morbo potentissimo, lastricando di caduti la loro azione di salvataggio del prossimo – coloro che, per incuranza o incompetenza, hanno favorito l’espandersi dell’epidemia siano sottratti al giudizio della magistratura. Non è tempo né di giudizi sommari né di sottovalutazione. Riflettere sulle ragioni che possano aver favorito simili accadimenti diventa un modo per capire cosa correggere e come evitare il ripetersi di vicende analoghe.

La sanità italiana eredita l’antica e diffusissima esistenza di Opere pie su tutto il territorio nazionale. La sanità era gestita da strutture private sulle quali lo Stato aveva una funzione di controllo esterno. Con il progresso della medicina le istituzioni di ricovero, inizialmente semplici cronicari, sono divenute, nell’arco del XX secolo, strutture cliniche sempre più specializzate e complesse.

La nostra Costituzione tutela la salute come bene pubblico e individuale: ciò ha mutato il quadro del rapporto pubblico/privato. Nel 1978 l’istituzione del sistema sanitario nazionale ha definito un assetto che – senza intaccare il diritto alla coesistenza di strutture ospedaliere pubbliche e private – dava centralità alla funzione di controllo e indirizzo ai poteri pubblici (statali e regionali). Alla base del sistema vi era il principio che la sanità pubblica non può essere basata sul profitto. Non può, quindi, essere concepita come un business. Nel tempo – sull’onda della ventata neo-liberista degli anni ’80 – è prevalsa una logica aziendalistica, che ha prodotto una torsione verso una concezione che ha trovato nella trasformazione delle Unità sanitarie locali (Usl) in Aziende sanitarie locali (Asl) la sua consacrazione.

Alla logica del business si è accomunato un progressivo allentamento del ruolo di indirizzo e controllo spettante allo Stato e alle Regioni. In realtà, sanità pubblica e privata non soltanto possono coesistere ma possono trarre reciproco vantaggio dalla loro integrazione. Ciò deve avvenire, però a patto che le strutture di cura private (siano esse ospedali o case di riposo) siano oggetto di controlli rigorosi da parte pubblica e che, nel contempo, le strutture sanitarie pubbliche siano sottratte all’invadenza della politica.

La storia degli scorsi decenni – con la sequela, su tutto il territorio nazionale, di scandali e di lunghe vicende giudiziarie – dimostra che nessuna delle due condizioni è stata rispettata in misura adeguata. Il panorama mostra – insieme a cliniche e case di riposo private di prim’ordine, condotte in modo specchiato - analoghe strutture di scadente livello e opache nella gestione. Lo stesso si può dire degli ospedali e di altre strutture sanitarie pubbliche. Nel settore pubblico la longa manus della politica ha, quasi sempre, prodotto danni e guasti. Nelle nomine, nei criteri di gestione, nell’organizzazione dei servizi. Prendere atto di tali disfunzioni deve servire per cambiare. Per ragioni di funzionalità, ma ancor più, oggi, per rendere onore a coloro che stanno lottando per salvare vite umane e per coloro che soffrono nelle strutture di ricovero pubbliche e private.

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