Putin e il dubbio
della Merkel

La fine del monopolio sull’uso della forza da parte degli Stati è una delle caratteristiche del XXI secolo. Un po’ ovunque nel mondo appaiono organizzazioni, piccoli eserciti, strutture armate fino ai denti in grado di perseguire i più disparati obiettivi. Esempi? Tanti, purtroppo: il fantomatico Stato islamico (ora scomparso in Siria), Al Qaeda, i più strani servizi al soldo del migliore offerente di turno, le compagnie «private» con migliaia di contractors a libro paga. Nessun Paese è al riparo da questa realtà sempre più complicata ed oscura. Nemmeno la Russia, che in epoca sovietica ed ancora prima ai tempi degli zar vantava un controllo sul proprio settore della «forza» unico e proverbiale. Mosca e l’Occidente si sono scambiati nei giorni scorsi dichiarazioni di segno opposto sul caso del presunto o «probabile» avvelenamento in Siberia di Aleksej Navalnyj, uno dei più noti capi delle opposizioni anti-Cremlino. I medici tedeschi, che l’hanno in cura, stanno cercando la possibile neurotossina, responsabile del suo pessimo stato di salute.

Europa e Stati Uniti pretendono che la Russia apra subito un’inchiesta per accertare cosa sia successo al politico moscovita, famoso anche per le sue crociate anti-corruzione. Il Cremlino - che ha in mano un referto medico dell’ospedale di Omsk sulle «cause naturali» del malore di Navalnyj - non ha detto di «no» ad indagini approfondite, come qualcuno vorrebbe far credere nella solita guerra informativa Est-Ovest postcrisi ucraina 2014, ma ha chiesto tempo. In particolare vorrebbe sapere dai dottori tedeschi quale è la sostanza, secondo loro, che ha avvelenato l’oppositore.

La ragione è semplice: se si riesce ad identificare l’ipotetica neurotossina usata per l’avvelenamento sarà più facile capire chi sono gli autori di tale aggressione.

Il retroscena della vicenda è, però, ancora più clamoroso: da quanto sta emergendo dopo la pubblicazione di un articolo, molto dettagliato apparso sulla stampa moscovita, i Servizi segreti federali hanno seguito Aleksej Navalnyj in tutte le sue giornate siberiane. Per quale ragione? Non si sa. Forse vi erano due obiettivi: conoscere i suoi contatti locali e anche indirettamente difenderlo da possibili attacchi. Che vantaggio politico avrebbe potuto avere ora il Cremlino dall’eliminazione di un oppositore che ha un rating del 4%? Per di più Navalnyj ha una miriade di nemici in ogni angolo di Russia per le sue inchieste anti-corruzione.

Conclusione: chi doveva vegliare da lontano su di lui se l’è fatto «probabilmente» avvelenare sotto il naso. Ecco perché iniziano a girare versioni secondo cui l’oppositore sia stato avvicinato sull’aereo e non all’aeroporto, dove ha bevuto un bicchiere di tè.

Ma chi può essere stato, allora? Una sempre maggiore fetta di specialisti pensa a servizi deviati o a schegge impazzite. Esattamente come per l’omicidio di Boris Nemtsov, capo delle opposizioni russe, ammazzato a 200 metri dalle mura del Cremlino nel 2015.

Allora venne messa in salvo anche Ksenija Sobciak, figlia del «padrino» politico di Vladimir Putin, pure lei nel mirino dei killer. Gli assassini dell’ex vice-premier dei tempi di Eltsin sono stati arrestati, ma non i suoi mandanti.

Tra i messaggi occidentali recapitati a Mosca il più eloquente è certamente quello della cancelliera tedesca Angela Merkel (come presidente di turno Ue) e della sua diplomazia, fini conoscitrici della Russia e delle sue trame. Il significato intrinseco e nascosto tra le righe è: Vladimir, che succede? Non riesci più a tenere ordine in casa tua?

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