Quando Miglio
ispirava la Lega

La Lega, nata come partito autenticamente federalista, vive oggi una contraddizione di fondo sotto la guida di Matteo Salvini, che la sta trasformando in un movimento sovranista. Il sovranismo, a differenza del federalismo, tende ad accentrare l’esercizio del potere contrapponendosi alle autorità sovranazionali e, al contempo, annullando le stesse spinte autonomiste interne. L’antieuropeismo più volte sbandierato da Salvini, oggi in qualche modo mascherato per esigenze di governo, nasce da una visione sovranista che è incompatibile con quella federale. Ce lo spiega chiaramente Gianfranco Miglio, che fu autorevole ideologo della Lega.

In uno dei suoi ultimi scritti «Oltre lo Stato nazione: l’Europa delle città», pubblicato nel 2001 pochi mesi prima della sua scomparsa, Miglio affermava: «L’idea sovranista esprime una ossessione tutta ideologica, per l’unità, per la reductio ad Unum. Oggi, invece, si tratta di organizzare politicamente le differenze, di valorizzarle e di difenderle, non di annullarle. Qualcuno pensa ancora che basti un confine per difendere le identità. Economicamente e tecnologicamente i confini non esistono più: permangono solo come espressione simbolica - politica e militare a un tempo - di un mondo che sta per finire». Lo scritto si conclude con la visione dell’Europa del futuro: «Fra cinquant’anni una nuova combinazione di elementi politici e privatistici darà luogo a strutture di tipo neo-federale quasi ovunque. Potrà suonare per alcuni come una bestemmia, per altri, tra cui mi annovero, come una speranza: e se nel nostro futuro, una volta finita l’epoca degli stati nazionali (commerciali) chiusi, ci fosse la creazione di un nuovo spazio politico, di una struttura in grado di unire, rispettandone le diversità, tutti i diversi popoli europei?».

Appare evidente come tali affermazioni siano in netto contrasto con l’attuale visione sovranista di Matteo Salvini, che ha avuto conferma nei suoi recenti incontri con il premier ungherese Orban e con l’esponente della destra francese Marine Le Pen. Del resto, l’ultimo segretario della Lega che ha reso omaggio a Miglio fu Roberto Maroni il quale, appena eletto nel 2012, si preoccupò di visitare la sua tomba a Domaso in provincia di Como, dove il professore era nato. Dal dicembre del 2013, quando Salvini ha assunto la segreteria della Lega, del federalista Miglio non si è più parlato. Questa scelta è stata influenzata anche dalle vicende giudiziarie della famiglia Bossi, che hanno ridotto la Lega al 4%. Da quel dato è ripartito Salvini con il suo nuovo progetto politico di ispirazione centralista che, evocando molto abilmente la sacralità dei confini per contenere i rischi dei flussi migratori, gli ha assicurato copiosi consensi. A questo punto è evidente che il federalismo leghista originario sia stato superato e che si prospetti la nascita di una nuova formazione politica di cui Salvini si candida quale indiscusso condottiero.

Va detto, però, che al leader della Lega è mancata sino ad oggi la capacità di elaborare un progetto politico di lungo respiro, da vero statista. La capacità, cioè, di non limitarsi a cavalcare i crescenti disagi sociali, allargando le ferite scoperte degli italiani con parole infuocate in grado di aderire subito perfettamente all’attuale diffusissimo sentimento popolare di sfiducia verso la politica e le istituzioni in generale. Per realizzare questo vitale percorso di maturazione politica, Salvini potrebbe ricorrere proprio al dimenticato Gianfranco Miglio. Basterebbe riprendere in mano il suo organico progetto di riforma costituzionale per rendersi conto della sua grande attualità. Un progetto lucido e innovativo, capace di tenere insieme coerentemente un deciso riformismo d’ispirazione federale pur nel rispetto delle prerogative dello Stato centrale, tanto da prevedere l’elezione «diretta» del Presidente della Repubblica quale segnale di rafforzamento dell’unità nazionale. Di fronte alle enormi difficoltà che si incontrano oggi nella gestione della cosa pubblica, c’è più di una ragione per pensare che il ricorso ad un’organica riforma costituzionale sia più che necessario.

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