Quante crepe
nel governo Conte

Il governo di Giuseppe Conte è come uno specchio crepato che potrebbe andare in frantumi da un momento all’altro. La riforma della giustizia, il decreto Sicurezza bis, la Tav. Di giorno in giorno la crepa si allarga per via delle divergenze tra Lega e Cinque Stelle, ormai agli opposti su quasi tutto. Lo specchio riflette l’immagine non del premier ma di Matteo Salvini, che si annuncia il mattatore di quest’estate politica, tra piazze di popolo e piazze digitali. Ieri al Senato è andato in scena l’ennesima spaccatura. L’hanno rappresentata plasticamente il vice ministro dell’Economia, il leghista Massimo Garavaglia, e il sottosegretario alla Presidenza, il grillino Vincenzo Santangelo.

Il primo ha invitato i senatori a votare a favore della Tav. Il secondo, visibilmente interdetto per non aver avuto la parola prima del collega, ha invitato l’aula ad attenersi al programma di governo, cioè a non votare per la ripresa dei cantieri Torino-Lione. Non c’è più una maggioranza dentro l’esecutivo, ma almeno due, di cui una preponderante e una in continua ritirata, per non parlare del terzo pilone, quello dei «pompieri» Conte e Tria, in continua fibrillazione per il tentativo di fermare la crepa.

I Cinque Stelle sembrano totalmente incapaci di arginare l’impeto del loro amico-nemico Salvini. La sua forza, ovviamente, è il risultato elettorale alle Europee e i sondaggi, che rovesciano i rapporti di forza nella maggioranza. Per questo pare che nel colloquio di ieri con Conte, prima di andare a Sabaudia per continuare la sua eterna campagna elettorale (il vero ministro degli Interni è il capo della polizia Franco Gabrielli), abbia chiesto le teste di mezza compagine di governo dei Cinque Stelle: da Toninelli a Giulia Grillo, da Elisabetta Trenta (il ministro della Difesa giudicata dai sovranisti troppo «peace and love») a Sergio Costa. E persino quella di Giovanni Tria, in vista di un braccio di ferro con l’Unione europea per la manovra economica d’autunno. Ma il rimpasto a Salvini non basta: quello che chiede, forte del consenso, è un cambiamento radicale della politica di governo, un nuovo «contratto» in salsa verde che spazzi via le prerogative grilline.

Per i Cinque Stelle è un bel pasticcio: è come navigare controvento, di fronte alla bufera leghista, tra Scilla e Cariddi. Da una parte la tenuta dell’esecutivo e il continuo logoramento. Dall’altra il salto nel buio delle elezioni anticipate, che potrebbe risolversi in un bagno di sangue come in tutte le ultime prove elettorali. Di Maio fatica a tenere la barra tra queste due correnti. La forza di Salvini non è solo la debolezza del suo alleato ma anche quella dell’opposizione. Ieri il Pd, lacerato tra renziani e anti-renziani, è riuscito a sostenere il governo facendo passare una mozione pro Tav, cosa che ha scatenato i mal di pancia di Luigi Zanda e Carlo Calenda (per loro sarebbe stato opportuno uscire dall’aula anziché segnare un autogoal). Forza Italia è in preda a fortissime lotte intestine tra gli uomini del Cavaliere. Il risultato è una fase molto convulsa che probabilmente prelude ad elezioni anticipate in autunno, quando i nodi economici verranno al pettine. Ipotesi che il capo dello Stato Mattarella teme fortemente per via delle incognite della Commissione e dei mercati. Tutta la partita è in mano al segretario della Lega. Perché i Cinque Stelle e Di Maio sembrano incapaci di staccare la spina.

Un’ultima considerazione. Ieri la mozione anti Tav contro il governo, pur bocciata, ha ricompattato l’opposizione grillina. I Cinque Stelle avrebbero fatto sicuramente più bella figura se ciò fosse avvenuto contro il decreto sicurezza bis. Perché è certamente meno grave bucare una montagna in Val Di Susa, per quanto sia l’impatto che ne deriva, che impedire alle navi di salvare delle vite in mare.

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