Quei suicidi in Francia
lavoratori solo numeri

Condannato per mobbing «morale e istituzionale»: la sentenza decisa ieri dal tribunale di Parigi contro l’ex amministratore delegato di France Télécom Didier Lombard, insieme a due alti dirigenti dell’azienda, è una sentenza di grande significato. Stabilisce infatti che c’è stato un nesso effettivo tra le politiche industriali draconiane volute dall’allora numero uno della compagnia telefonica e le drammatiche conseguenze umane che ne erano scaturite: tra il 2008 e il 2009, 19 dipendenti dell’ex gigante delle telecomunicazioni di proprietà statale si sono suicidati, mentre i manager avevano intrapreso un piano di ristrutturazione che prevedeva il taglio di 22 mila posti di lavoro, cioè il taglio di un dipendente ogni cinque. Ad accusare i dirigenti erano state 39 persone costituitesi parte civili, tra cui 19 erano familiari di dirigenti che si erano tolti la vita. Era stato un piano durissimo quello messo in atto dalla dirigenza di France Télécom nell’arco di tre anni. Un piano incoraggiato da Lombard con parole che oggi suonano di una intollerabile ferocia: nel 2006, rivolgendosi al suo management aveva incoraggiato a «indurre le persone a uscire in un modo o nell’altro, attraverso la finestra o la porta».

Il dramma dei licenziamenti è un prezzo che si deve mettere nel conto come controcanto di un modello economico oggi ancora e comunque dominante. Sono situazioni che tante volte abbiamo visto narrate in film di successo (uno dei paradossi di questo stesso modello: generare ricchezza sulle storie di chi è stato una sua vittima...); basta pensare alle traversie di Ben Affleck in «The Company Man», nella parte di chi perde il lavoro; o al George Clooney, nella parte dello specialista licenziatore, in «Tra le nuvole». Questo per dire che il venir privati del lavoro fa parte della narrazione del mondo capitalista.

Quello che però è al centro del caso francese non è semplice fisiologia di un modello che costringe a mettere in conto la possibilità di lasciare a casa le persone. Qui siamo di fronte ad una deriva di quel modello, ancor più grave e inaccettabile dato che si trattava di un’azienda di Stato. Giusta quindi la condanna con cui lo Stato in qualche modo risarcisce moralmente non solo le vittime ma anche chiunque è parte dello Stato stesso.

Quello che però emerge da questa vicenda è anche un rischio al quale il modello neo liberista si espone: la distruzione dell’idea di lavoro come valore. Nella prospettiva di Didier Lombard l’organizzazione aziendale era vista come mera sommatoria di numeri, e anche le persone non erano altro che numeri. È una prospettiva che rende le aziende come delle entità anonime, «macchine» da lavoro senza cultura e con il profitto come unica mission. Pure in Italia abbiamo assistito a qualcosa di simile, con l’incidente alla fabbrica della Thyssen Group nel quale nel 2007 restarono uccisi sette operai. Anche in quel caso il processo ha messo in evidenza l’omissione dolosa dei sistemi di prevenzione antincendio ed antinfortunistica e si arrivò alla condanna per omicidio colposo di alcuni dirigenti (condanna a cui sono per altro sfuggiti per una scandalosa copertura della giustizia tedesca).

Sono vicende di una stagione di capitalismo prepotente che speriamo di esserci lasciati alle spalle. Anche perché il futuro, come documenta un bel libro appena pubblicato di Marco Bentivogli e Diodato Pironi (che si intitola non a caso «Fabbrica Futuro») punta su altre strade. Il modello che viene avanti e che si sta rivelando vincente anche in aziende di grandi dimensioni ha come fattori la responsabilità diffusa, la condivisione dei modelli organizzativi e soprattutto un’idea di lavoro che investe sulla creatività delle persone, qualunque mansione svolgano.

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