Quota 100 delude
I giovani al palo

Non sorprendono di certo gli ultimi dati a disposizione sulla bassa adesione alle pensioni con Quota 100 e all’esodo annunciato del personale scolastico nella provincia di Bergamo (con relativo vuoto incolmabile in tempi brevi). Sono perfettamente in linea con il Nord Italia e in genere con tutto il resto del Paese. Le domande presentate a maggio sono poco più di 15 mila in tutta Italia. Erano 77 mila a febbraio. L’obiettivo di 300 mila domande entro dicembre promesso dal governo sembra essere molto lontano. Dovevamo assistere alla fuga di milioni di pensionandi pronti a cogliere l’occasione al volo come nella pesca alla mosca.

E invece le uscite anticipate dal lavoro con 62 anni di età e 38 di contributi si sono ridotte a un lumicino, o quasi. Come mai? La risposta non è difficile: semplicemente conviene a pochi. Basta un esempio per rendere l’idea: con una retribuzione di 2 mila euro netti, un «quotacentista» matura una pensione di 1.275 euro, quasi il 40% in meno rispetto allo stipendio. La perdita di valore è notevole. Inoltre non può «arrotondare» continuando a lavorare come consulente o quant’altro se non fino a 5 mila euro lordi all’anno per via del divieto di cumulo per cinque anni. Dunque, di fatto, a un lavoratore in là con l’età, che si sente ancora nel pieno delle sue forze, non conviene andare in pensione. Meglio aspettare qualche anno, anche per via dell’innalzamento dell’aspettativa di vita. Nessuno, o quasi, a sessant’anni oggi si sente anziano (per fortuna). Non siamo più ai tempi di Bismarck, che nella sua monumentale riforma delle pensioni, all’alba del Welfare State, aveva fissato la pensione a 61 perché ai quei tempi, nell’Ottocento, piccolo particolare, si moriva.

E le donne? La loro voglia di dedicarsi ai nipotini e alla famiglia? Evidentemente possono fare le nonne anche lavorando, visto che le domande a livello nazionale rappresentano solo il 22% di quelle presentate. Forse perché di nipotini in giro ce ne sono sempre meno, per via delle difficoltà a metter su famiglia. Forse prima di creare le condizioni perché le donne potessero fare le nonne a tempo pieno bisognava pensare a come permettere ai giovani di metter su famiglia e fare figli.

E a proposito di giovani, vi è poi un altro mito da sfatare. Non c’è stato alcun ricambio generazionale, pochissimi giovani hanno preso il posto dei «quotacentisti». La disoccupazione giovanile resta tra le più alte d’Europa, oltre il 31% (ma in certe zone del Sud è al 70%).

Anche la Banca d’Italia stima per il nostro Paese un’espansione dell’occupazione «in misura contenuta, soprattutto nei primi due anni» per il periodo 2019-2021, assicurando che «anche maggiori fuoriuscite dal mercato del lavoro per effetto dell’introduzione di nuove forme di pensionamento anticipato, in linea con le regolarità osservate nel passato, verrebbero solo in parte rimpiazzate da nuove assunzioni». Altro che un giovane ogni due pensionati! I posti lasciati liberi non sono stati coperti. Se l’obiettivo era quello di favorire l’occupazione giovanile, stiamo andando in direzione opposta.

E qui veniamo al secondo fenomeno: lo «svuotamento» del personale scolastico. Tra coloro che decidono di prendere al volo la Quota 100 ci sono in larga misura i dipendenti pubblici, in particolare quelli della scuola: professori, personale amministrativo e di sostegno. Ma per vari ragioni i posti non verranno coperti e dunque si preannuncia un anno molto difficile da settembre in poi per gli studenti di ogni ordine e grado: classi da accorpare, cattedre vacanti etc. Morale: solo Spagna e Grecia sono messe peggio di noi dal punto di vista occupazionale. Le nostre solite inseparabili compagne di viaggio ogni volta che si parla di dati sconfortanti in economia.

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