Renzi punge Conte
ma teme le elezioni

A che gioco gioca Matteo Renzi? Il senatore di Rignano ogni giorno di più fa alzare la tensione sul governo lanciando messaggi volutamente contraddittori. Ieri, per esempio. Prima dice al Corriere della sera che lui «non lavora per la crisi di governo ma semmai contro la crisi dell’Italia», poi, qualche ora dopo, allo spagnolo El Pais, a domanda: «Lei farebbe la crisi di governo?», risponde seccamente: «Sì». Sì, naturalmente «se Conte non fa un passo indietro sulla cabina di regia per il Recovery Fund».

Che è poi l’argomento polemico che Renzi ha scelto per attaccare il presidente del Consiglio. Che l’argomento sia pretestuoso l’ha dimostrato con poche parole il ministro (Pd) degli affari europei Amendola: «La task force istituita a Palazzo Chigi per coordinare i progetti da presentare all’Europa è stata chiesta dalla Commissione a tutti i Paesi membri in modo tale da avere un unico interlocutore sul Recovery con capacità amministrative, autorità e risorse umane».

E infatti la task force è stata messa in piedi pressoché ovunque (talvolta con dentro i ministri, come in Spagna, talaltra con ministri e tecnici come appunto a Roma). Non solo: la struttura tecnica nazionale ha un interfaccia immediato a Bruxelles dove una analoga squadra si coordina con i commissari Ue. Inoltre, aggiunge Amendola, è stato già chiarito che i progetti verranno prima approvati in consiglio dei ministri e successivamente in Parlamento.

Insomma, difficile sostenere, come fa Renzi, che Conte vuole gestire 200 miliardi «alla chetichella». Come si capisce questa è una scusa per dare il tormento al presidente del Consiglio. Allora, di nuovo, a che gioco gioca Matteo Renzi? E poi: è solo o in compagnia? Le ipotesi: cerca davvero la crisi per cacciare Conte e sostituirlo con qualcun altro. Oppure, più modestamente, vuole condizionare Conte per dimostrare che il modesto 3 per cento di Italia Viva conta ancora qualcosa. Infine: Renzi fa tutto questo scarmazzo, come direbbe Camilleri, semplicemente perché aspira a qualche poltrona in più (ipotesi che l’interessato, respinge con foga ciceroniana). Di sicuro Renzi non pensa a nuove elezioni, (che per lui sarebbero un disastro). Del resto, come lui, le urne in questo momento non le vuole nessuno nella maggioranza: né Di Maio che vedrebbe il suo partito decimato, né Zingaretti che non si sente pronto. Ma, domanda maliziosa: Di Maio e Zingaretti sono davvero così distanti dall’agitazione di Renzi? Non è detto: in fondo anche loro non sopportano il protagonismo del premier e il suo sfrenato presenzialismo televisivo. I due potrebbero essere interessati non a farlo cadere in un momento così delicato – tanto che in Europa sono assai preoccupati delle nostre ripetute contorsioni politiche – ma di sicuro a limitarne l’autonomia: in fondo, si sentono essi i veri padroni del governo, e allora perché Conte si atteggia a super premier, come se fosse stato eletto dal popolo intero e non tratto dall’oscurità di una cattedra universitaria?

Come si vede, il gioco è complesso e molto controverso. Conte cerca la «verifica» per capire «cosa nascondono le critiche». E spera nel Quirinale secondo cui, se cade il governo, si va a votare e ognuno si prende la sua parte di responsabilità di quel che potrebbe succedere: una cosa che «l’Italia pagherebbe molto cara» come dice senza giri di parole il presidente del Parlamento europeo David Sassoli. Quanto alle opposizioni, il voto sul Mes ha consolidato la loro compattezza politica, e non è poco dati i caratterini che si ritrovano Berlusconi, Salvini e Meloni. Che, ricordiamolo, sulla carta restano i vincitori di una eventuale nuova tornata elettorale. Dopo tante giravolte, a gestire il Recovery Fund potrebbe essere proprio il centrodestra. «Ma noi non siamo né sovranisti né euro-contrari» si affretta a dire proprio Matteo Salvini (sperando di essere creduto).

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