Rialzo tassi e nuovo Mes, tensioni in Europa

Il commento. Governi europei e Banca centrale europea (Bce) rischiano di entrare sempre più in rotta di collisione fra loro, non da oggi a dire il vero. Già prima dei rilievi critici dell’attuale esecutivo italiano sulle ultime mosse su tassi d’interesse e bilancio, per esempio, la presidente Christine Lagarde era stata censurata apertamente perfino dal presidente francese Emmanuel Macron, suo connazionale nonché suo principale sponsor al vertice dell’Istituto di Francoforte.

Proviamo a capire qual è il motivo di questi crescenti dissapori. Durante la crisi del debito sovrano, così come nella successiva crisi pandemica, Governi e Banche centrali – dopo qualche tentennamento iniziale che è costato caro al nostro continente – si sono trovati fianco a fianco nel fronteggiare difficoltà inedite, uniti dall’obiettivo di sostenere le economie e l’integrità dell’euro anche a costo di ricorrere a politiche «non convenzionali» impensabili fino a un decennio fa.

Certi eccessi monetari del 2020-2021, esacerbati dall’invasione russa dell’Ucraina, hanno tuttavia cambiato ancora il contesto economico nel quale ci muoviamo, resuscitando l’incubo dell’alta inflazione. A questo punto le strategie di Banche centrali e Governi, e ciò vale un po’ in tutto il mondo occidentale, sono diventate più difficilmente conciliabili. Da una parte gli Istituti centrali non possono accettare un aumento generalizzato dei prezzi (e un adeguamento delle aspettative a questa situazione), dunque alzano i tassi di riferimento per drenare liquidità dal sistema. Dall’altra parte i Governi europei, già alle prese con un rallentamento dell’economia dovuto alla guerra, assistono a un ulteriore raffreddamento della crescita indotto (volutamente) da tassi più alti. Non solo. Gli stessi Governi tendono a usare ancora la leva fiscale per attutire l’impatto dell’inflazione, ma il rialzo dei tassi delle Banche centrali rende più difficile fare nuovo deficit, specie per i Paesi maggiormente indebitati come il nostro. Ciascuno potrà prediligere l’una o l’altra posizione, ma è indubbio che queste siano le condizioni ideali per mettere fine a un idillio decennale tra Governi e Banche centrali.

A complicare la situazione del nostro Continente, ci sono rinnovati dissidi tra Stati membri dell’Unione europea e un’architettura di politica economica imperfetta. Nel pieno della pandemia, e in vista di una ripresa da sostenere evitando fratture e divari crescenti tra i vari Stati, l’Unione europea nel 2020-21 ha mostrato uno spirito unitario che ha portato a forgiare il pacchetto di aiuti straordinari Next Generation EU, fondato su una inedita emissione comune, per quanto una tantum, di debito pubblico. Tale spirito non sembra ancora essere stato ritrovato nella gestione dell’impatto economico della crisi bellica e dell’inflazione. Le proposte della stessa Commissione europea per un nuovo meccanismo «Sure» contro il caro energia si sono infrante per ora contro il veto di alcuni Paesi come la Germania. Le recenti schermaglie sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes), con la Bce che ha invitato Roma a ratificarlo, si inseriscono in un contesto simile e assumono un significato simbolico per le diverse parti in causa

. Non stiamo infatti discutendo, giusto per fare chiarezza, di un imminente commissariamento del nostro Paese, ma della ratifica della riforma di uno strumento, il Mes appunto, che è comunque già operativo. Esso fu istituito nel 2012 per concedere, sotto precise condizioni, assistenza finanziaria a quei Paesi membri che si fossero trovati in difficoltà temporanee a finanziarsi sul mercato. La riforma del 2019, che solo Italia e Germania devono ancora ratificare, prevede essenzialmente che il Mes possa funzionare anche a sostegno del Fondo di risoluzione delle crisi bancarie. Al di là di dettagli, pur importanti in questo caso, è indubbio che al Mes sia associato un certo stigma, tanto che nessun Paese ne ha chiesto l’attivazione dopo la crisi dell’Eurozona, nemmeno durante la pandemia quando le condizioni di accesso furono «alleggerite». Uno strumento di emergenza che tutti temono di utilizzare non sembra essere d’aiuto all’Ue in questa fase, ragioni per modificarlo dunque esistono e possono essere argomentate apertamente a patto di non alimentare pregiudizi e tensioni che ci danneggiano tutti.

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