Rimpatri veloci
per frenare Salvini

A cosa serve la presentazione del piano dei «rimpatri veloci» da parte di Luigi Di Maio e del Guardasigilli grillino Bonafede? A respingere l’attacco più efficace che Matteo Salvini sta portando al governo giallo-rosso: quello basato sull’accusa al governo di aver «spalancato» i porti che lui, da ministro dell’Interno, aveva chiuso. Per rintuzzare questa critica, Di Maio decide di dare una sterzata «a destra» del governo definito «più a sinistra della storia repubblicana» e manda fuori un piano in base al quale chi approda sulle nostre coste provenendo da determinati Paesi non in guerra (dodici, tra cui il Montenegro ma anche l’Algeria o la Tunisia) e non presenta prove inoppugnabili di essere stato vittima di violenze e persecuzioni, viene immediatamente riportato a casa con in tasca un rifiuto della richiesta di asilo. Appunto, rimpatri «veloci».

Funzionerà? Di sicuro il sistema attuale non funziona, dal momento che negli ultimi tempi sono stati rimpatriati poco più di 5 mila richiedenti asilo mentre pendono ben 70 mila domande nelle questure e nei tribunali. Questo effettivamente rappresenta un fallimento dello stesso Salvini che aveva esordito con promesse di rimpatri da esodo biblico: migliaia e migliaia al giorno, e naturalmente nulla di tutto ciò è accaduto.

Adesso ci prova Di Maio. Che deve respingere la cosa che effettivamente tutti vedono e che Salvini cavalca: gli sbarchi sono ripresi – soprattutto quelli con i cosiddetti barchini, mai effettivamente sospesi – proprio in coincidenza con l’avvio del nuovo governo e della sua linea politica meno rigida anche nei confronti delle Ong. Naturalmente il leader della Lega è pronto a scommettere che il sistema escogitato dagli uffici della Farnesina e del ministero della Giustizia sarà inefficace come quelli che lo hanno preceduto a partire dalla legge Bossi-Fini del primo centrodestra. «Parla così perché è un decreto che avrebbe voluto firmare lui», prova ad ironizzare Di Maio, che sta tentando di riprendersi la scena prepotentemente occupata dagli altri: non solo i due Mattei, ma anche il suo ex protetto Giuseppe Conte.

Dal punto di vista mediatico, a Di Maio non poteva capitare un giorno più giusto per presentare alla pubblica opinione il suo progetto: lo ha fatto proprio mentre due dominicani uccidevano a pistolettate due poliziotti a Trieste e all’indomani della strage in Francia da parte di un neo-convertito all’Islam fondamentalista. Fatti di cronaca che sembrano arrivare apposta per portare grano nel fienile di chi segue una linea «sovranista» come Salvini che in estrema sintesi si può definire così: i clandestini non facciamoli entrare, e mandiamoli via il più possibile. Ma non è questo il solo terreno su cui Salvini prova a terremotare i grillini: ne è prova la manifestazione in piazza del Campidoglio organizzata per contestare la sindaca Virginia Raggi. La Capitale è ancora in preda ad una emergenza rifiuti; per la sesta volta in tre anni la dirigenza dell’azienda municipalizzata è stata costretta alle dimissioni in assenza (da mesi) di un assessore competente. E Roma è allo sbando non solo per i rifiuti (e per la crisi economica e per la fuga delle aziende verso Milano) ma anche per il gran numero di sbandati, clandestini, senza fissa dimora, campi nomadi che popolano il suo territorio in un panorama di grande desolazione cui non riescono a far fronte in maniera degna né le forze dell’ordine né le associazioni di volontariato e caritatevoli. Salvini è salito in Campidoglio ad attaccare personalmente «il peggiore sindaco che Roma abbia mai avuto». Di Maio sembra rispondergli proprio con il piano dei rimpatri veloci che però impiegherà del tempo per prendere corpo e diventare un fatto concreto (se mai accadrà). I rifiuti di Roma invece sono da tempo una realtà che milioni di romani incontrano tutti i giorni.

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