Salvini, via moderata
per uscire dall’angolo

Come uscire dall’angolo e accreditarsi in Europa,
la piazza che conta. È probabilmente questo che passa per la testa di Salvini dopo la delusione elettorale e dopo una recente intervista in cui accennava a qualcosa in movimento. E alla vigilia del suo tour in Europa. Potrebbe delinearsi, senza renderla esplicita, una marcia di allontanamento dal Papeete e di avvicinamento alla non amata Europa. Un’istituzione che incide sempre di più nella vita dei singoli Stati e infatti il Conte 2 è nato sotto l’ombrello protettivo della Commissione di Bruxelles. Dunque, dalla destra radicale al moderatismo del centrodestra tradizionale? Un percorso da coprire con i piedi di piombo e senza ruspa: una mossa per capire che aria tira, per ora più comunicativa che di programma. Ci crede davvero o è tattica, oppure l’effetto obbligato dell’assalto di una realtà non compresa, respinta in modo reiterato, da uno come Salvini che pure ha fiuto? Affermatosi dentro una precisa identità radicale, sarà capace di reinventarsi una stagione alternativa a quella attuale?

Un periodo difficile per il capo leghista e il ripensamento autocritico s’impone per una intelligenza rimasta ferma al pre Covid, saltando un capitolo decisivo, mentre la pandemia ha cambiato la grammatica politica e gli umori collettivi. Le migrazioni non sono più in cima alle preoccupazioni degli italiani e le cattive compagnie sovraniste non hanno la forza espansiva di un tempo. Quel che si vede è un Salvini che tentenna e che in questa riflessione per riscattare il destino del Carroccio sceglie il profilo basso. Ci vorrà tempo, mentre Giorgia Meloni, neo leader dei conservatori europei, è stata più lesta. Beninteso, la leadership salviniana in questo momento non è contendibile. Il Capitano è ferito, ma è lontano dall’essere sconfitto e la sua Lega conta il triplo del massimo ottenuto da Bossi. L’elettorato è sempre composto da fedeli disciplinati, tuttavia il patrimonio di voti è sterilizzato nel freezer.

Una marcia in arretramento per un condottiero che appare fuori fase rispetto al clima che si respira. Molto dipenderà dall’uscita morbida dal populismo, forzando la realtà e mascherato attraverso un racconto costruito per l’occasione in modo da limitarne i danni, del tipo: è grazie alle critiche della Lega che l’Europa, cioè l’asse franco-tedesco, s’è ricreduta. E sarà decisiva la triangolazione con i due uomini della svolta: Giorgetti, il consigliere che suggerisce al capo, l’indispensabile tessitore, e Zaia che vuole continuare a fare il Doge. L’offensiva dei due esponenti dell’ala nordista e istituzionale indica qualcosa di più di una semplice dialettica interna, piuttosto la consapevolezza di un isolamento improduttivo. Il punto di partenza per recuperare credibilità dovrebbe essere l’abbandono del club dell’estrema destra all’europarlamento: passaggio per il momento escluso a parole da Salvini. Che, nel mentre annuncia un’improbabile «rivoluzione liberale», continua a guardare a Orban, il teorico della democrazia illiberale (il premier ungherese, se non viene cacciato, se ne guarda bene dal lasciare i Popolari della Merkel).

La Lega paga l’irrilevanza in Europa: la compagnia degli impresentabili con la Le Pen e gli ultrà tedeschi non ha alcuna agibilità politica per il cordone sanitario che le è stato stretto da tutti gli altri gruppi politici. Il fattore decisivo per impatto psicologico su comunità politiche dalle emozioni in eccesso sarà il voto in America del 3 novembre: la sconfitta o meno di Trump, il fratello maggiore dei populisti europei, darà la misura del deperimento del sovranismo. Capiremo se l’inquilino in scadenza della Casa Bianca è un accidente della storia impostosi nell’era della nostalgia subito dopo la Brexit, o se invece siamo alle prese con una preoccupante tendenza di lunga durata e dalle radici lontane. L’eventuale uscita di scena del presidente americano cambierebbe il quadro, costringendo i nazionalisti europei a ripensare se stessi. Le manovre in corso per riposizionare la destra italiana (Meloni e Salvini) nella cornice europea lasciano intuire un’azione preventiva e difensiva. L’altro appuntamento, a dicembre, è il congresso dei democristiani tedeschi per scegliere il successore di Angela Merkel, elezione che ha una dimensione strategica perché Germania vuol dire il Paese guida dell’Europa che ha aperto la nuova fase del Recovery fund e che influenza gli orientamenti del sistema politico continentale. La complicata partita di Salvini, se partita sarà, rivela i costi anche per chi ha cavalcato gli anni ruggenti del populismo e mostra l’inadeguatezza dell’antieuropeismo nella stagione della pandemia.

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