Scuola e lavoro
Bisogna fare di più

Cercate lavoro? Nel 2020 è possibile trovarlo, perché la domanda scarseggia in molte professioni, al Nord al Centro e perfino – udite udite- nel Mezzogiorno. Mancano ingegneri, informatici, addetti alla vendita, esperti di marketing, progettisti, ma anche operatori di servizi turistici, camionisti, cuochi, camerieri e operai elettromeccanici e metalmeccanici (Mimì metallurgico è ancora vivo e lotta insieme a noi). Secondo uno studio della Cgia di Mestre basato su un’indagine di Unioncamere-Anpal il 32,8 per cento dei posti disponibili richiesti dagli imprenditori italiani rimane vacanti per la mancanza di personale qualificato.

Su poco meno di 500 mila assunzioni previste a gennaio, tre imprenditori su dieci segnalano che probabilmente troveranno molte difficoltà a «coprire» questi posti di lavoro (poco più di 151.300), a causa della mancanza di candidati o per la scarsa preparazione.

Ma da cosa dipende questo scollamento tra offerta e domanda di lavoro in molti mestieri specializzati e anche meno specializzati, questi ultimi perfino tra gli stranieri immigrati?

Innanzitutto va detto che per una parte si tratta di professioni che i giovani non vogliono più fare, come quella dell’autotrasportatore (negli ultimi 10 anni si sono persi 25 mila padroncini). Il costo per ottenere la patente C o D e la «carta di qualificazione del conducente» oscilla tra i 2.500 e i 3.000 euro. Si tratta di una professione estremamente faticosa, che costringe a guidare per ore e ore, con turni spesso massacranti che tengono lontani da casa, magari per settimane, senza contare le operazioni di manutenzione, carico e scarico delle merci.

Anche il mestiere di cuoco non è una passeggiata, nonostante le iscrizioni agli istituti alberghieri abbiano registrato un boom (con il sorpasso sui professionali), sull’onda dei vari programmi di cucina.

Stupisce che perfino il mestiere di cameriere venga snobbato, ma qui forse entra in ballo una nuova variabile: il Reddito di cittadinanza. Evidentemente molti giovani e meno giovani preferiscono percepire una quota fissa senza far nulla o assolvere a qualche ora di attività socialmente utile che guadagnare qualche centinaio di euro in più lavorando duramente nei giorni feriali e festivi. Qualcuno obietterà che il Reddito è subordinato all’accettazione di un’offerta di assunzione. Ma evidentemente il raccordo coi centri per l’impiego ancora non funziona.

E per le altre professioni? Qui entra in gioco il rapporto con la scuola, ancora un pianeta sconosciuto rispetto al mondo delle aziende e degli artigiani in molte regioni d’Italia. I contratti di formazione-lavoro sono insufficienti. È sull’apprendistato degli studenti che bisogna puntare per riempire gran parte di quel vuoto che caratterizza l’offerta di impieghi in Italia.

Studio e lavoro dovrebbero essere due realtà contigue, quasi sinonimi, in modo da raccordare domanda e offerta, dall’istituzione di accordi di rete tra scuole e imprese (soprattutto gli istituti tecnici e professionali) a modelli di progettazione basato su tirocini in fabbrica, laboratori didattici, lezioni pratiche gestite da personale delle aziende. In Lombardia non siamo certo all’anno zero, anzi. Insieme al Trentino Alto Adige, dove il tirocinio in un’azienda è quasi la prassi usuale, possiamo considerarci un modello. Basterebbe citare l’iniziativa ormai ben radicata di Assolombarda denominata «Orientagiovani» che ha avviato da molto tempo progetti di alternanza scuola-lavoro con numerose aziende della regione dalle medie all’università. Ma su questa strada si può fare di più e meglio, come ci confermano i dati della Cgia di Mestre.

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