Scuola e salute
Ripensare le priorità

Mai come in questi ultimi tempi la sanità e la scuola sono state al centro dell’attenzione di tutti i mass media e del dibattito politico. La pandemia virale, prima con le drammatiche conseguenze in termini di vite umane e poi con gli effetti inediti sulla società intera, con la chiusura prolungata delle scuole, ci ha d’un tratto fatto riscoprire ciò che è veramente essenziale per tutti noi, indipendentemente dalle idee, dai credi e dalle posizioni nella società. Insieme al lavoro, sanità e scuola rappresentano la triade che scandisce i tempi della nostra esistenza. Sul lavoro è opportuno, come suggerito da molti, aprire davvero a un approccio che abbracci, dentro le diversità, una dimensione più universale e meno corporativa. Sulla sanità e in particolare sulla scuola alcune considerazioni meritano di essere svolte come preambolo alla necessaria discussione, anche in relazione alle difficoltà che guidano gli attori in campo in vista della stagione autunnale.

Osserviamo come nella nostra società la domanda educativa e quella sanitaria si concentrino rispettivamente nella prima e nell’ultima fase della vita di una persona. Sono, se vogliamo, i momenti più delicati dell’esistenza e qui si vede la capacità delle Istituzioni di tutelare la dignità umana. Cosa c’è infatti di peggio del non poter offrire un adeguato livello di istruzione a un bambino, indipendentemente dalle sue condizioni di partenza? E cosa c’è di peggio nel non offrire a una persona anziana le giuste assistenze sanitarie? Certamente questi concetti valgono lungo tutta la vita ma è singolare come questi bisogni primari si concentrino in particolari periodi nell’arco dell’esistenza.

Ora che il virus ha fatto riscoprire la centralità della dimensione sanitaria e di quella educativa alcune riflessioni meritano di essere suggerite agli operatori interessati.

La prima è la distinzione tra «massa» e «massificata». Scuole e sanità devono restare di massa, cioè per tutti, ma non massificati cioè sistemi nei quali l’individuo, non già in termini egoistici, ma esistenziali, scompare nel dominio delle procedure e del tecnicismo. In quest’ottica, ad esempio, va valutato l’uso delle tecnologie digitali che, se mal gestite, rafforzano la tendenza alla massificazione piuttosto che alla valorizzazione della persona.

La seconda è la differenza tra qualità e quantità. Si ha l’impressione ad esempio, che le politiche economiche, si pensi alla previdenza, tengano conto solo della quantità quando si orientano alla misura dell’aspettativa di vita senza considerare l’elemento qualitativo, quello che viene indicato come «vita buona». Allo stesso modo, per la scuola, la discussione sulla maggiore presenza (si pensi al pomeriggio a scuola) rispetto all’elemento qualitativo dell’insegnamento non può essere relegata alle sole esigenze lavorative dei genitori ma deve muoversi dentro un preciso e differenziante disegno educativo. In altri termini il «di più» deve voler dire anche «meglio».

La terza considerazione è purtroppo l’assoluta predominanza della visione contrattualistica nella gestione della salute e dell’educazione. Se tante difficoltà si incontrano nella ripartenza dei sistemi sanitari e scolastici è perché finora in essi hanno prevalso le esigenze del presente e quelle dell’offerta. Dalle prime raccogliamo l’assenza di programmazione e di conseguenza la mancanza di medici e di insegnanti (per quest’ultimi malgrado le ripetute sanatorie). Dalle seconde, ereditiamo un’organizzazione che è centrata più sulle esigenze degli operatori (peraltro senza nemmeno ottenere la loro soddisfazione) che su quelle degli utenti. La proposta, davvero incredibile, di elevare il già debordante numero di 1.500 assistiti per ogni medico di medicina generale per rispondere alla mancanza di medici, è la prova dell’effetto delle tendenze negative sopra richiamate.

La quarta e ultima considerazione attiene al tema delle responsabilità. Quando si sono riaperte le aziende, vi è stato il tentativo di lasciare al datore di lavoro responsabilità in materia di salute non necessariamente sue. Chiarito il punto con il governo e stabilite le regole, le imprese sono oggi tra i luoghi più «sicuri» in termini di rispetto degli standard per la prevenzione del contagio. E anche gli ospedali si muovono con una consapevolezza e un insieme di regole mai viste prima dell’emergenza Covid. Ecco, se vogliamo (e dobbiamo) riaprire in sicurezza le scuole a settembre dobbiamo fare in modo di dare a Cesare quel che è di Cesare. Ad ognuno le sue responsabilità e al tempo stesso una comunione di responsabilità tra ministero, presidi, insegnanti e genitori affinché i drammi vissuti in questi mesi per effetto della pandemia ci abbiamo almeno resi un po’ migliori.

*Ordinario di Public Management all’Università degli Studi di Bergamo

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