Scuola, i doveri
delle famiglie

Il pianeta scuola sta per ripartire dopo i mesi difficili del lockdown. Hanno già riaperto molti istituti per l’infanzia. Le maestre hanno accolto i bambini con mascherine, visiere protettive e camici. Come ha giustamente scritto una maestra «noi educatrici ci presenteremo così a bambini di due anni che non ci vedono da 6 mesi, con camici in plastica, vestiti come astronaute: neanche gli infermieri sono così». A seguire, il coro dei genitori preoccupati dalla salute e allarmati dagli effetti psicologici che questa tenuta anti Covid può avere sui loro bambini. Peccato che quella tenuta garantisca la massima sicurezza per i propri figli (e per le maestre) e dunque sarebbe meglio storcere meno il naso e pensare alle priorità, ovvero alla salute, dato che il Covid è ancora tra noi. Si tratta di sacrifici, è vero, ma necessari.

Quanto al personale scolastico, siamo sicuri che riuscirà a «bucare» la visiera e far star bene i suoi bambini. La loro creatività è infinita, sanno giocare con tutto, riusciranno perfino a divertirsi con quella mascherina e quella casacca anti-Covid.

Ieri il premier Conte si è rivolto alle famiglie italiane a pochi giorni dalla riapertura. Sarà una prima assoluta, con decine di regole da rispettare e nuovi accorgimenti sanitari. «Le famiglie italiane non devono dubitare: abbiamo fatto il massimo per dare ai ragazzi il meglio e per regalare alla scuola un nuovo inizio», ha detto il premier, alludendo a «qualche inevitabile cambiamento», con uno dei suoi soliti eufemismi. Da settimane parliamo di questi «inevitabili cambiamenti»: doppi e tripli turni, regole di igienizzazione, mascherine, banchi con le rotelle, distanziamenti, misurazione della temperatura, gel, quarantena per tutta la classe in caso di contagio, nuovi locali reperiti un po’ dappertutto: edifici pubblici, teatri, parrocchie. Come ha ricordato il ministro dell’Istruzione Azzolina, «la scuola coinvolge 30 milioni di persone, metà della popolazione italiana, ed è una macchina complessa».

Tutto a posto allora? No, perché in quest’anno zero della scuola il termine di «alleanza educativa» è più che mai una sfida. Le misure anti-Covid applicate negli istituti di ogni ordine e grado non possono funzionare solo tra il suono d’inizio e quello della fine della campanella: devono continuare anche fuori dalla scuola, attraverso comportamenti virtuosi di genitori, insegnanti e figli tali da non compromettere il «lavoro» (sì, possiamo utilizzare il termine «lavoro», anche se è un mestiere connaturato con una forte vocazione) del personale scolastico. Partiamo dalle materne: che senso ha mettersi tute di protezione fantascientifiche, far rispettare regole di distanziamento e imporre una disciplina nipponica se all’uscita di scuola i bambini si mettono a fare capriole e girotondi, se si mettono a giocare a pallone in un prato, creando assembramenti e contatti tali da rimanere indifesi di fronte a qualsiasi contagio? Si tratterebbe di un’incoerenza tipicamente italiana, come quei giovani che arrivano con la mascherina sui luoghi della movida e poi se la tolgono per godersi l’happy hour in mezzo alla folla. O quei tipi brillanti che fanno spuntare il naso dalla protezione, o se la mettono sotto il mento come una specie di gorgiera. L’alleanza scolastica riguarda maestri, professori e genitori. Una raccomandazione per quest’ultimi: se il loro bambino ha una «lineetta» di febbre, quest’anno deve stare a casa, anche se a costo di qualche sacrificio da parte del genitore, costretto a chiamare la babysitter o a chiedere un permesso di lavoro.

Non possiamo delegare al personale scolastico la salute dei propri figli e poi ritornare alle vecchie abitudini il resto della giornata. Le buone pratiche scolastiche durano anche nel «doposcuola». L’anno zero della scuola non è un anno come gli altri. Non ci si può permettere di imbottire i figli di tachipirina e spedirli in classe, rischiando di contagiare tutti i compagni. Le regole vanno rispettate: dipende anche da noi, non solo dalla scuola.

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