Se la guerra spacca anche la Chiesa

Vladimir Putin non ha preso l’Ucraina, ma Kirill l’ha già persa e il titolo di Patriarca di tutte le Russie scivola dalle sue mani. Il sangue fa a pezzi la fede ortodossa a Kiev e stravolge l’intera geografia dell’ortodossia globale. Mosca perde il primato e Kirill è la prima vittima della guerra che ha sostenuto con l’ideologia imperiale pan-ortodossa offerta su un piatto d’argento a Putin e trasformata dal Cremlino nel turbo-nazionalismo neo-zarista all’arrembaggio in Ucraina. Il Patriarca di Mosca non comanda più neppure su una delle 12 mila parrocchie ucraine, sulle 52 diocesi e su un centinaio di vescovi, guidati dal metropolita Onofrio, sempre meno fedele al suo patriarca a Mosca.

La decisione si è consumata nel fine settimana, anche se Onofrio ha cercato fino all’ultimo di far ragionare Kirill e staccarlo dall’abbraccio mortale di Putin. Aveva chiesto a Kirill di aiutarlo presso lo zar per evacuare i civili da Mariupol nei giorni più drammatici. Ma Kirill non gli ha nemmeno risposto. E così Onofrio non ha potuto far altro che dichiarare la propria indipendenza, che non è ancora un vero e proprio scisma, ma una sorta di escamotage amministrativo per evitare che le liturgie ortodosse non siano valide per i fedeli.

Il comunicato che annuncia la decisione è durissimo nei toni sia politici che religiosi. Si accusa Kirill di violare il comandamento di Dio «non uccidere» e di non accettare la decisione del Concilio ecumenico pan-ortodosso che quel comandamento mette al primo posto nei rapporti tra i popoli e le nazioni.

Il portavoce della Chiesa ortodossa russa in Ucraina ha poi rincarato la dose affermando che non solo Kirill non ha fatto nulla per fermare l’aggressione, anzi l’ha sostenuta, e non è riuscito nemmeno a trovare parole di conforto e pietà per «il popolo ucraino sofferente». Il sangue ha spazzato via tutto, la fede e le chiese. La mappa aggiornata dal governo ucraino sulla distruzione dei luoghi di culto ogni giorno si arricchisce di nuove drammatiche croci che segnano la pietre degli edifici religiosi che rovinano a terra sotto le bombe. La decisione di rendersi autonomi è stata sollecitata a Onofrio dalla base.

Sono stati i fedeli delle parrocchie sotto il fuoco a sollecitare quello che può trasformarsi in un drammatico scisma. Per Mosca è uno strappo senza precedenti che mette in crisi il suo peso e la sua credibilità nell’ortodossia. Con la perdita delle parrocchie e di tutta la gerarchia ucraina il peso specifico della Russia tra le Chiese ortodosse si riduce enormemente e Mosca non sarà più in grado di imporre il suo potere di veto all’interno del Concilio pan-ortodosso, né di imporre la propria linea di dialogo ecumenico con le altre Chiese cristiane e cattoliche, Vaticano in prima fila. Con gli ortodossi russi restano ormai solo i serbi e i bulgari, ma questi ultimi con sempre meno entusiasmo.

La guerra insomma sta configurando un cambiamento radicale anche fuori dal teatro dello scontro. Eppure la situazione più drammatica potrebbe rivelarsi all’interno dell’Ucraina. Il Parlamento di Kiev, sotto la pressione degli avvenimento bellici, sta considerando una legge che obbligherebbe tutti i fedeli ortodossi a riunirsi sotto le insegne della Chiesa ortodossa autocefala, frutto già di uno scisma negli anni passati da Mosca, riconosciuta da Costantinopoli e condannata da Kirill. Potrebbe nascere una sorta di federazione tra Chiese ortodosse e cattolici di rito greco-bizantino con la nomina di un unico patriarca, magari a turno.

Una buona soluzione? Forse, se prima si arriva ad una pace vera e non ad una pace fredda, dove ogni rivendicazione resta intatta nella sua tragica configurazione di sangue.

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