Se a scuola è sparito il rispetto per i prof

ATTUALITÀ. Non è mai facile parlare del micro (o macro) cosmo della scuola, tanto composito e variegato esso è al suo interno, tante peculiarità lo attraversano.

Un dato però, nella percezione comune, è certo: la perdita di autorevolezza e prestigio della figura dell’insegnante, spesso oggetto di pressioni tanto dall’alto (superiori diretti che vedono le insufficienze come la peste), quanto dal basso (alunni, con la scorta delle famiglie, non di rado aggressivi nel contestare le valutazioni negative: quelle positive, anche se elargite da professori nullafacenti che non vogliono fastidi, sono invece sempre benaccette, perché dell’ignoranza dei figli non importa a nessuno o quasi, se la pagella riluce di gloriosa vacuità).

Rivelatrice della diffusione di una certa idea del rapporto scuola-famiglia è certamente la satira: sarà capitato a molti di vedere in rete la vignetta con due genitori che, a fronte di una nota appioppata al figlio, nel 1981 ne chiedono conto con decisione al figlio medesimo, mentre nel 2021 ne domandano ragione con adirato fastidio al docente.

Che cosa è successo, in questi quaranta e più anni? Perché si è passati dalla reprimenda al ragazzo inadempiente a quella al suo professore che si lamenta dell’inadempienza? Perché, ieri, è arrivata la notizia irricevibile della professoressa di liceo delle Scienze applicate di Abbiategrasso accoltellata da uno studente, ultima e peggiore dopo altre di minor gravità ma dello stesso tenore, con il docente filmato mentre l’alunno di turno lo insulta o gli lancia qualche improvvisato proietto?

Premesso che nulla mai giustifica atti violenti, una lettura non erronea ma neppure risolutiva potrebbe chiamare in causa l’educazione famigliare, sempre meno ispirata ai concetti di umiltà e di rispetto dell’autorità, e sempre più innervata da un ribellismo velleitario contro tutto e tutti, e, al contempo, sull’altro versante, additare il cattivo funzionamento della scuola stessa, perché un certo tipo di riverenza bisognerebbe pure guadagnarselo sul campo, e non sempre la classe docente è irreprensibile sul piano della qualità e dell’impegno lavorativo.

Ma il malessere della scuola sta forse più in profondità e risiede nella fatica del pachiderma che non riesce a stare al passo con i tempi e i mutamenti tecnologici e antropologici in corso, perdendo anzi via via autorevolezza più si sforza di non rimanere attardato.

La diffusione di Internet che offre il sapere a portata di cellulare (e la novità dell’intelligenza artificiale è dietro l’angolo: non solo il sapere, ma anche la sua elaborazione staranno dentro una app) ha messo a dura prova il lavoro di chi del sapere è in qualche modo detentore. Non solo: la realtà virtuale apre ai pomeriggi dei ragazzi alternative un tempo impensabili, a fronte delle quali il duro lavoro di apprendimento mnemonico e di svolgimento degli esercizi (che si tratti di versioni, problemi di geometria o temi poco importa) appare sempre meno attraente, se mai lo è stato, mentre la realtà virtuale stessa ne consente agevole aggiramento (in rete, si trova pressoché tutto risolto).

La figura dell’insegnante, inoltre, in questo vacillante contesto, per cercare di rispondere alla complessità dei tempi, si è andata sgranando in mille funzioni diverse e indebolendo agli occhi dei ragazzi. Il docente - che so? - di Italiano non è più solo il docente di Italiano: è anche il responsabile Pcto, il referente di Educazione Civica e dell’Orientamento, il Tutor e magari il coordinatore di classe. Laddove il moltiplicarsi dei ruoli annacqua quello primigenio e fondamentale, oltretutto reso fragile da una gestione della valutazione sempre meno libera e giusta, e quindi autorevole, perché, altrimenti, insorgono i prèsidi e i genitori. Col che, però, siamo tornati al problema iniziale.

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