Sri Lanka, il dolore
di un Paese fallito

L’agenda politica dello Sri Lanka non è cambiata a dieci anni dalla fine di un conflitto civile che ha fatto oltre centomila morti, una guerra sporca con attentati spaventosi, uccisioni di massa, stupri etnici e un intreccio tragico di nazionalismi e fondamentalismi. Era il 21 aprile 2009 e la guerra finiva con l’assalto alle ultime roccaforti dei ribelli tamil, decisione del governo di Colombo che aveva abbandonato i tavoli negoziali con la mediazione della Norvegia per cercare l’unica soluzione sbagliata, come gli attentati di Pasqua hanno confermato.

C’è un anniversario che pochi ieri hanno ricordato. Conferma che la pace è ancora lontana. Così in Sri Lanka si continua a capitalizzare solo la paura, fomentata dalla costante crescita dei gruppi più radicali, che si saldano nella ricerca della più totale destabilizzazione del Paese. Quando quattro anni fa Jorge Mario Bergoglio era andato in Sri Lanka aveva scongiurato tutti ad uscire dall’equivoco di una pace solo proclamata, invocando «riconciliazione».

E aveva aggiunto che la chiave sta nella convinzione che solo due concetti possono contribuire a realizzarla: «Fratellanza e unità». Esattamente quello che in Sri Lanka manca da sempre. Troppo odio, nessuna misericordia, nessun perdono. In dieci anni non si è riusciti nemmeno a costruire nel Paese un percorso giudiziale per far luce sui crimini di tutte le parti, governo compreso. Il confitto cominciato nel 1956 tra le due etnie maggioritarie cingalesi e tamil, che ha visto la divisione del Paese, attentati a ripetizione, crimini di guerra, massacri e pulizie etniche, centinaia di scomparsi, campi di concentramento, abusi e torture, non è diventato memoria tragica sul quale riflettere.

Lo Sri Lanka è un Paese fallito, nonostante le immagini su carta patinata dei depliant turistici che descrivono la terra delle farfalle, del tè e degli elefanti. In un’isola di 21 milioni di abitanti con immense comunità di emigranti in tutti i Paesi del mondo solo gli estremismi hanno trovato cittadinanza e per chi rifiuta l’odio settario ci sono solo le bombe. L’attacco alle Chiese cattoliche con il corollario classico delle bombe nei grandi alberghi dei turisti stranieri per attirare l’attenzione dell’agenda del mondo è un messaggio chiaro del fallimento della road map indicata da Bergoglio quattro anni fa. In questi anni nulla è stato fatto per la giustizia e la riconciliazione. Le etnie hanno continuato ad usare le religioni come strumento ideologico di consenso. I buddisti, maggioranza al 70 per cento nel Paese, hanno lasciato crescere al proprio interno movimenti radicali, ma la stessa cosa è capitata ai musulmani e agli indù. Il presidente Sirisena, che vinse le elezioni con un programma elettorale di sviluppo e riconciliazione proprio due giorni prima della visita del Papa, ha sprecato il suo credito popolare, infilando il Paese in una serie infinita di crisi istituzionali con contrapposizioni capitali tra organi dello Stato, che hanno contribuito a far crescere radicali e fondamentalisti. In gioco ci sono interessi economici e rivendicazioni personali, che un clima perennemente in bilico sul baratro della violenza e della paura contribuisce ad irrobustire.

Il Papa aveva avvisato: «Non sarà facile superare l’amara eredità di ingiustizia, ostilità e diffidenze lasciate dal conflitto». In questi anni la Chiesa cattolica ha continuato a ripeterlo e qualche mese fa i vescovi dello Sri Lanka davanti all’ennesima crisi istituzionale e ad accuse reciproche tra movimenti religiosi, che infiammano rispettivi nazionalismi, avevano ribadito che si difende la democrazia favorendo la riconciliazione. È per questo che la Chiesa dà fastidio a tutti, buddisti radicali, islamisti jihadisti, indù estremisti. In mezzo c’è una classe politica che ha fallito nell’opera di riconciliazione, alimentato l’odio, spesso senza rendersene conto. Anche su questo il Papa aveva ammonito: «L’adorazione di Dio non porta alla discriminazione, all’odio e alla violenza». E oggi quel Bergoglio, che ha firmato ad Abu Dhabi la dichiarazione sulla fratellanza, condivisione di intenti planetaria che va ben oltre islam e cristianesimo, è una seccatura e un disturbo. Anche per i burattinai del rancore e dell’intolleranza dello Sri Lanka.

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