Stato e Regioni
Miraggio federalismo

Con il disegno di legge per l’autonomia regionale, i governatori leghisti di Veneto e Lombardia si propongono di riordinare e accrescere ulteriormente i compiti demandati alle Regioni dalla riforma della Carta Costituzionale del 2001. Quella riforma, realizzata in tutta fretta dal centro-sinistra nell’intento di contrastare l’ascesa del centro-destra, partiva dalla convinzione che le Regioni, essendo più vicine ai cittadini, fossero in grado di produrre una migliore amministrazione, con minore spesa e più efficienza.

A distanza di quasi 20 anni, la maggior parte delle Regioni (in particolare quelle del Sud) si è dimostrata alla prova dei fatti un pozzo senza fondo. I casi di corruzione sono drammaticamente aumentati e i costi delle strutture regionali sono esplosi a tal punto da costituire oggi una parte cronica molto ingombrante del debito dello Stato. I governatori della Lega, forti dell’efficienza dimostrata dalle Regioni da loro amministrate, si dicono convinti che il disegno di legge per l’autonomia, richiamando ad una maggiore responsabilità nella gestione, contribuirebbe a rendere più efficienti anche le Regioni meridionali.

I Governatori di queste ultime, viceversa, sono compatti nel contrastare la riforma che, così come formulata, sostengono arricchirebbe di risorse il Nord sottraendole al Sud e allargando ulteriormente il già molto evidente solco presente. Tale dissenso trova un grande alleato nel M5S che difende gli interessi del Sud in quanto ha proprio lì il principale serbatoio di voti.

In questi giorni, a complicare la situazione si è aggiunta la posizione di Matteo Salvini, favorevole ad una ricostituzione delle Province, ritenute indispensabili per la manutenzione e la costruzione di strade e di edifici scolastici. Di parere contrario si è da subito dichiarato Luigi Di Maio, convinto che per il contenimento della spesa pubblica si dovrebbe mirare ad una semplificazione degli enti territoriali. All’interno della Lega questa nuova uscita di Salvini ha suscitato qualche disappunto perché rischia di aggiungere ulteriori ostacoli alla già difficile approvazione del progetto di autonomia regionale.

Va detto, peraltro, che la maggior parte dell’opinione pubblica nazionale considera con sostanziale indifferenza l’attribuzione di nuovi poteri alle Regioni, verso le quali non è avvertito un reale senso di appartenenza. Diversa è la considerazione riservata ai Comuni, che godono di una storia ultracentenaria e rappresentano un vero punto di riferimento socioeconomico sul territorio.

Proprio partendo da questa considerazione, qualche anno fa l’Istituto nazionale di geografia ha ipotizzato una possibile articolazione territoriale dello Stato che, oltre ai Comuni, prevedesse al posto delle Regioni 30 circoscrizioni amministrative aventi omogenee caratteristiche economiche, sociali e culturali. La circoscrizione di Bergamo, ad esempio, avrebbe compreso i comuni di Lecco, Como, Sondrio e Varese. Questo progetto, com’era prevedibile, non è mai stato preso in considerazione da alcuna forza politica, tenuto conto del notevole potere politico nel frattempo assunto dalle Regioni.

Si tratta ora di vedere se il disegno di legge sull’autonomia regionale, così come proposto dai Governatori leghisti, otterrà il via libera da parte del M5s. Certamente, ciò non avverrà prima delle elezioni europee del 26 maggio dopo le quali, se le posizioni resteranno distanti, è molto probabile immaginare una crisi di governo. Cedere sull’autonomia regionale, suo antico cavallo di battaglia, costerebbe molto alla Lega in termini di perdita di voti tra i propri fedelissimi.

Comunque vadano le cose, sarebbe opportuno che lo Stato recuperasse al più presto la leadership necessaria per definire un rigoroso ed efficiente riordino dei rapporti tra Stato e Regioni. Tale azione, lungi dal determinare un freno al federalismo, potrebbe porre le basi per un suo concreto rilancio.

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