Stretta monetaria, la Bce temporeggia

La strada verso l’uscita dalla politica monetaria straordinaria della Banca centrale europea (Bce), quella politica che ha spinto la nostra economia fuori dalla crisi del debito sovrano e che l’ha sorretta durante la pandemia da Covid-19, è ormai segnata. È sulla velocità con cui percorreremo questo tragitto che rimangono ancora alcuni dubbi.

E ieri la Bce non è sembrata fare di tutto per dissiparli, anzi. La presidente della Bce, Christine Lagarde, ha detto che l’istituto terminerà i suoi acquisti netti di asset nel terzo trimestre dell’anno ma ha aggiunto che non è stato ancora deciso esattamente quando, se nel primo o nell’ultimo mese del trimestre. Quindi Lagarde ha dichiarato che «qualche tempo dopo» la fine dell’acquisto degli asset ci sarà un’ulteriore stretta monetaria, cioè il rialzo dei tassi di interesse, visto che l’inflazione marcia spedita verso livelli che non si vedevano dagli anni 90, salvo poi aggiungere che per «qualche tempo dopo» si può intendere «una settimana o diversi mesi». I mercati, che - giova ricordarlo - non sono altro che investitori più o meno previdenti, hanno interpretato le parole della Bce come un rinvio di qualche settimana di una decisione sulla tempistica della stretta monetaria.

Perché la Bce di fatto prende tempo? Non bastano forse gli attuali dati sull’inflazione nell’Eurozona, per assumere una decisione in un senso o nell’altro? Una risposta a simili domande è sembrata offrirla la stessa presidente Lagarde, quando ha detto che è «incredibilmente difficile integrare la guerra nei modelli di previsione». Perfino per i fini analisti di Francoforte, qualche settimana aggiuntiva di tempo torna molto utile per farsi un’idea più precisa sulla natura dell’inflazione che abbiamo davanti (principalmente dettata dal caro energia, certo, ma quanto duratura?) e soprattutto sull’impatto che il conflitto avrà sulla ripresa (impatto certo più pesante che negli Stati Uniti).

Per dire della moltitudine delle variabili che l’invasione russa dell’Ucraina impone di considerare, si può pensare per esempio all’escalation delle sanzioni occidentali contro Mosca. Le misure punitive si sono andate rafforzando di settimana in settimana, e lo scenario di un embargo su petrolio e gas russi non può più essere escluso (proprio ieri il New York Times parlava di rappresentanti Ue al lavoro su una bozza di documento che prevede lo stop all’import di oro nero russo); un’interruzione degli scambi energetici, d’altronde, cambierebbe ancora le prospettive di crescita del nostro continente, con annesse ricadute sulle scelte più adeguate di politica monetaria.

Non è finita qui. La Bce, nel momento in cui decide una politica valida per tutta l’Eurozona, è tenuta a scrutare con attenzione anche una serie di fattori che vanno al di là dei confini della nostra area monetaria. Concentrati come siamo sui gravi contraccolpi umanitari ed economici dell’invasione russa dell’Ucraina sul nostro Paese e continente, tendiamo infatti a dimenticare che non siamo gli unici a essere investiti da una sorta di effetto domino economico e finanziario della guerra. Questa settimana, per esempio, si è registrato il default di uno Stato sovrano come lo Sri Lanka, nell’Oceano Indiano. Un Paese non enorme, con 22,3 milioni di abitanti (poco più di un terzo di quanti ne ha l’Italia) e un Pil di 81 miliardi di dollari (quello italiano è circa 25 volte più grande).

Eppure il crac dello Sri Lanka, dovuto certo a una gestione non propriamente rigorosa delle finanze pubbliche e alle conseguenze durissime della pandemia, è diventato inesorabile nelle ultime settimane, nel momento in cui i prezzi energetici sono volati alle stelle per colpa del conflitto in Ucraina e allo stesso tempo si sono interrotti definitivamente gli storici flussi di turisti russi e ucraini nel Paese, per di più in contemporanea con una riduzione dell’export di materie prime agricole verso la Russia. La Banca Mondiale ha lanciato l’allarme: nei prossimi 12 mesi una decina di Paesi in via di sviluppo potrebbe non riuscire a onorare il proprio debito con l’estero. Il tutto mentre la Fao mette in guardia da una possibile crisi alimentare in Medioriente e in Africa a causa delle difficoltà di approvvigionamento di mais e frumento da Ucraina e Russia. Shock apparentemente lontani da noi ma di cui dovremo tenere conto, per le conseguenze finanziarie e geopolitiche che potranno avere sull’Europa.

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