Tante opere e tante code, ma ora serve coordinarsi

IL COMMENTO. Una città in coda, perenne: è la fotografia, impietosa, di Bergamo da qualche mese in qua, conseguenza dei tanti (c’è chi direbbe troppi) lavori in corso in diverse parti della città. E il peggio probabilmente deve ancora arrivare, perché alle porte ci sono interventi come il treno per Orio e la nuova viabilità connessa, la linea T2 del tram, l’E-Brt, il raddoppio della Bergamo-Ponte San Pietro con demolizione e ricostruzione dei ponti di via San Bernardino e dei Caniana (non proprio robetta, converrete...) e soprattutto il cantiere (colossale) della nuova stazione.

Tutti interventi in contemporanea e con un orizzonte temporale che tende a fine 2026. Potenza di sua maestà il Pnrr, quel Piano nazionale di ripresa e resilienza che sta mettendo tutti a dura prova. Il dato sicuramente positivo di questa vicenda è avere un traguardo abbastanza chiaro, se poi davvero tassativo si vedrà strada facendo, ma in un Paese che fa delle scadenze una pura e semplice opinione è già molto. Per esempio due cantieri delicatissimi e pesantissimi come la ridefinizione del rondò dell’A4 e Pontesecco sono frutto del Patto per la Lombardia firmato da Matteo Renzi e Roberto Maroni, allora presidente del Consiglio e della Regione, nel 2016: peccato che poi i lavori siano partiti solo nel 2022 e purtroppo in contemporanea con altri interventi non in ritardo. O comunque non troppo in ritardo.

Analogamente, buona parte delle opere alle porte sono state magari concepite in tempi diversi ma inserite poi nel Pnrr allo scopo di poter contare su fondi certi, procedure semplificate e quindi tempi normali. Per questo motivo il florilegio prossimo e imminente di cantieri è una certezza, non per la volontà di tagliare nastri in campagna elettorale come qualcuno sostiene in quell’autentica terra di nessuno che sono diventati i social. Dove la protesta è all’ordine del giorno, più che legittima, ma occorre comunque fare diverse scremature: dare cioè il giusto peso alle prese di posizione meramente politiche (che spesso sfociano nel personale) e a chi oscilla tra due estremi, criticando cioè a prescindere sia l’assenza di cantieri che una loro eccessiva presenza. Gli scontenti social di professione, per capirci.

Fatta questa tara il problema però rimane e si avvia ad assumere dimensioni decisamente preoccupanti: i cantieri in arrivo da qui a primavera sono tutti importanti, impattanti, non rimandabili e soprattutto distribuiti lungo la dorsale della città. Da est a ovest, a pochi passi dal centro e lungo buona parte delle principali direttrici d’accesso: in più incidono anche pesantemente sul trasporto via ferro, togliendo un’alternativa praticabile (per quanto spesso inadeguata) al pendolarismo stradale.

Ci stiamo avviando verso un’oggettiva situazione d’emergenza che però si protrarrà almeno fino a fine 2026 e quindi richiede misure più strutturali, pena la paralisi della città e una situazione ben peggiore di quella vissuta finora in questa stagione di (complessi) cantieri. Assodato che i lavori sono inevitabili e che al termine la città ne trarrà sicuro giovamento, bisogna lavorare in modo coordinato per contenere laddove possibile i disagi. Che ci saranno, inevitabilmente, ma vanno governati e non semplicemente subiti.

In parole povere serve un piano e una regia: che Comune (ma non solo Palafrizzoni, anche quelli dell’hinterland perché la partita è su vasta scala) e Provincia comincino a ragionare su soluzioni coordinate già da adesso, non inseguendo cioè l’apertura di questo o quel cantiere perché saranno troppi e troppo impattanti per pensare di risolvere tutto senza una visione preventiva. Ci sono davanti almeno 3-4 mesi per lavorarci , diversamente possiamo già rassegnarci a restare ancora in coda per i prossimi anni: avanti piano, quasi indietro.

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