Tanti ostacoli
da superare

Ogni trattativa di governo – come tutte le trattative, in fondo – prevede alti e bassi, ricatti e cedimenti, do ut des, incomprensioni, patti segreti, raggiri e bluff. La variabile sta solo nella maggiore o minore serietà degli interlocutori, nella loro credibilità, in fondo nella moralità di chi si siede intorno a un tavolo. La trattativa in corso per la nascita del Conte-bis non sfugge a questa legge vecchia come il mondo. Però, se c’è un dato che colpisce in questa circostanza è che il capo di uno dei due partiti in campo, Luigino Di Maio, si segnala tra gli altri per la ripetitività dei suoi ultimatum al punto da far sospettare che non desideri che il governo nasca e preferisca le urne. Ci si chiede insomma a quale gioco stia giocando. Ogni volta che alza la posta – ma questo succedeva anche con Salvini – e dice: «O si fa così o si rompe», qualcuno si deve incaricare di ridimensionare, attutire, ammorbidire le sue parole.

È successo così anche ieri pomeriggio quando il capo politico del M5S si è presentato di fronte alle telecamere per lanciare un vero e proprio ultimatum a Zingaretti: «O si fa come diciamo noi, o il nostro programma diventa il programma del governo, o non se ne fa niente». E giù una serie di condizioni indigeribili per il Pd. A cominciare dai decreti sicurezza di Salvini che per i democratici andrebbero cancellati e che invece Di Maio considera intangibili (salvo le osservazioni di Mattarella da recepire in qualche provvedimento). Una condizione impossibile. Anche perché imprime un crisma di continuismo tra il governo giallo-verde e quello giallo-rosso che è esattamente il contrario di ciò che Zingaretti ha chiesto sin dal primo momento: discontinuità nel programma e nella squadra.

Ed è qui forse il problema vero che si nasconde dietro queste dichiarazioni tonitruanti di Di Maio: ancora non si è risolto il caso dei vicepresidenti del Consiglio. Come è noto Di Maio insiste per mantenere la poltrona. Il Pd non vuole perché considera Conte un grillino e quindi esige che il numero due di palazzo Chigi venga dal Pd. Né piace a Zingaretti lo schema dei due vicepremier come ai tempi di Salvini perché farebbe apparire il nuovo governo troppo simile al precedente con il Pd al posto della Lega. Inoltre sembra accertato che lo stesso Conte di vicepremier non ne voglia neanche uno, preferendo rimanere il dominus incontrastato del Palazzo. Di Maio insomma rischia di perdere una corona che gli consente di primeggiare nel Movimento dove invece la sua leadership è ormai più che zoppicante. Ecco probabilmente perché alza la voce, lancia ultimatum, minaccia sfracelli. Il caso di ieri pomeriggio è stato disinnescato da Conte con una riunione improvvisata con i dirigenti dei due partiti al termine del quale ha ufficializzato che oggi si continuerà a lavorare per un programma di governo «comune»: comune vuol dire che non sarà dettato solo dai Cinque Stelle. Insomma, oggi si ricomincia. Il ruolino di marcia dell’incaricato prevede che entro domani, domenica, sia pronto un documento di programma abbastanza delineato da portare al Quirinale. Come si riesca in poche ore a superare i tanti ostacoli che nascono dalla diversità di idee tra grillini e democratici su tanti argomenti, è un mistero. Però ormai Conte si è fatto l’idea di essere davvero il protagonista numero uno sia della trattativa che del governo in gestazione. «Tentazioni napoleoniche», sibilano a via del Nazareno, sede del Pd, a dimostrazione di un malumore comunque crescente. Ma il governo si deve fare, ormai è chiaro: appena Di Maio ha parlato ieri pomeriggio, lo spread è schizzato di dieci punti. Figuriamoci cosa accadrebbe lunedì se le trattative si dovessero interrompere.

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