Una bad bank europea
per il credito post covid

I crediti deteriorati, i cosiddetti «non performing loans» (Npl), rappresentano un grande problema per le banche perché limitano la loro possibilità di concedere credito a famiglie e imprese e possono comprometterne la stessa stabilità. Gli Npl sono cresciuti enormemente dopo la crisi finanziaria del 2008 e all’inizio del corrente anno hanno raggiunto in Europa l’ammontare di 500 miliardi di euro, rappresentando per l’Italia l’8,9% del portafoglio prestiti, per la Spagna il 4%, per la Francia il 3,4% e per la Germania il 2,2%. La situazione italiana è più grave di quella degli altri Paesi, ma sarebbe stata ancor più grave se le Autorità di Vigilanza europee, a partire dal 2015, non avessero applicato la massima pressione sulle nostre grandi banche affinché ripulissero i propri bilanci dai crediti deteriorati.

Ciò si è realizzato in larga misura attraverso la cessione di consistenti pacchetti di Npl a operatori specializzati ottenendo buoni risultati anche sul piano economico. Nel mese di marzo scorso, prima che la crisi pandemica da Coronavirus assumesse i connotati più gravi, la Bce ha rivolto ai maggiori gruppi bancari europei la raccomandazione di destinare gli utili di bilancio al rafforzamento dei mezzi propri, astenendosi dalla loro distribuzione. Tale misura contribuirà certamente ad attenuare nei prossimi mesi ogni impatto negativo sulla situazione patrimoniale delle banche.

La Bce ha anche sollecitato la costituzione di una Bad bank europea, che sia in grado di fornire nei prossimi mesi un valido supporto ai bilanci delle banche comunitarie. Proprio di questo si discuterà in un’importante riunione fissata per il prossimo 25 settembre, presieduta dal vice presidente della Commissione Valdis Dombrovskis, alla quale parteciperanno tutti i responsabili degli organismi finanziari e di vigilanza europei. I Paesi del Nord, che almeno fino ad oggi registrano aumenti contenuti di Npl, si sono già dichiarati contrari a sostenere la proposta della Bce. Si ha motivo di ritenere, però, che un valido compromesso potrebbe essere raggiunto prevedendo la creazione di un network di bad bank nazionali, armonizzate sotto il profilo delle regole, ognuna attiva nel proprio mercato di riferimento. Anche sulle regole, però, ci sarà da discutere perché, ad esempio, non è indifferente che la cessione dei crediti deteriorati alla bad bank avvenga in tempi più brevi (90 giorni) o in tempi più ampi (180 giorni).

Molto importante, infatti, sul piano economico è la valutazione delle garanzie che sono in gran parte rappresentate da immobili il cui valore può oscillare nel tempo. Strettamente legato al problema degli Npl è quello del fallimento delle banche sul quale ci si augura che il 25 settembre si riapra una riflessione. Attualmente coesistono due procedure: il «burder sharing», che prevede la ricapitalizzazione provvisoria anche con l’intervento dello Stato ed esclude i depositanti da ogni coinvolgimento nelle perdite; il «bail in», recepito con molta superficialità dal nostro Parlamento nel 2016, che prevede il coinvolgimento nel fallimento anche dei depositanti oltre i 100.000 euro. Ciò è in netto contrasto con l’art. 47 della nostra Costituzione che tutela «tutti i depositanti» perché con i loro risparmi forniscono alla banca i mezzi necessari allo svolgimento della sua attività.

È assai improbabile che la riunione del 25 settembre prossimo risolva tutti questi problemi. È pensabile, però, che dopo il faticoso e positivo accordo sul Recovery Fund, i prossimi mesi possano essere impegnati per assicurare una maggiore stabilità al sistema bancario. Un recente rapporto della società di consulenza Oliver Wyman prevede che la crisi da Covid 19 potrà generare perdite per le banche europee per oltre 400 miliardi di euro che potrebbero raddoppiare nel caso di un nuovo lockdown.

In questa situazione è estremamente urgente il varo di una bad bank europea o di un network di bad bank nazionali, armonizzate sotto il profilo delle regole che, acquistando crediti deteriorati a prezzi di mercato, siano in grado di alleggerire convenientemente i bilanci delle banche, fornendo loro la possibilità di svolgere una più efficace attività creditizia.

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