Una città anziana, sola e con più culle vuote

Più anziana, più sola e con meno bambini. Non è una bella fotografia quella che emerge dai dati demografici di Bergamo nel terribile 2020, l’anno della pandemia. Per la prima volta dopo 6 anni di fila la città ha smesso di crescere e si è attestata poco sotto quota 121 mila abitanti: 120.960 per la precisione, con un calo di 1.134 unità rispetto al 2019. Il Covid è stato purtroppo drammaticamente decisivo in questa involuzione, ma scavando dentro i numeri emerge una realtà più complessa e articolata.

In questo saldo negativo ci sono molti fattori che vanno analizzati singolarmente e in una visione complessiva di città. Sicuramente una parte determinante è causata dai decessi da pandemia, ma all’emorragia di abitanti ha contribuito molto il calo delle nascite e degli stranieri. E nessuno di questi è un bel segnale. Soprattutto in una città che in questi anni ha visto acuirsi uno dei suoi tratti da sempre più caratteristici, l’enorme numero di nuclei monofamiliari: quasi un bergamasco di città su 2 (il 46,1%) vive da solo. E nella maggioranza è anziano. Ne discende una visione di città e di servizi che va necessariamente modificata.

Alle porte c’è un nuovo Piano di governo del territorio che sulla carta è incentrato su tre concetti chiave: una Bergamo più attrattiva, sostenibile ed inclusiva. Detta così è la ricetta perfetta e dentro ci sarebbero probabilmente molte delle risposte necessarie a questo calo di residenti, ma mai come in questo caso passare dagli slogan ai fatti appare difficile.

Un dato è comunque certo ed era già chiaro: Bergamo non cresce più e negli anni passati l’ha fatto in modo sempre contenuto. L’idea di una città più grande, tipica di un recente passato, va quindi messa definitivamente in soffitta, a maggior ragione dopo gli ultimi numeri. Ne dovrà discendere una città sostenibile (appunto) e un’economia che non misura più il suo futuro in metri cubi, né come indicatore strategico né come fonte dei servizi da erogare sul territorio.

Sarà anche interessante capire se a questo calo di abitanti sia corrisposto ancora quel fenomeno tipico degli ultimi anni, ovvero la crescita di un hinterland capace di attrarre le classi più giovani e dinamiche che però poi gravitano sul capoluogo per lavoro e servizi. Un fattore che ha progressivamente indebolito le casse di Palafrizzoni. E se prima rendere Bergamo più attrattiva era un obiettivo a medio termine sul piano urbanistico, ora rischia di diventare quasi un’emergenza su quello sociale.

Non è per nulla semplice immaginare una città diversa, al di là degli slogan di maniera che non esauriscono la complessità del tema e spesso manco la sfiorano: non basta cioè dire «più verde» o «più servizi» senza declinare la sfida in una prospettiva più moderna ed efficace. La ripartenza dopo la tragedia del Covid ci mette davanti ad un quadro più complesso e quindi più fragile, dove l’emergenza picchierà duro sul versante del lavoro e delle opportunità. Un fattore già desumibile proprio dal calo degli stranieri, probabilmente i primi ad essere colpiti sul fronte dell’occupazione.

E senza lavoro è ancora più difficile invertire un dato della natalità comunque già in leggera discesa nel 2019, prima della pandemia va ricordato. Un trend che rende ancora più necessari interventi strutturali a favore delle famiglie, dagli asili nido in su. Ma soffermiamoci anche sul dato di chi vive da solo perché è questo che determinerà in modo fondamentale le politiche sociali, urbanistiche e abitative dei prossimi anni. Quelle di una città inclusiva che dovrà essere sempre più capace di non far sentire solo nessuno. Anche se vive da solo.

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