Unione europea
assediata: nuove sfide

Ad ovest nubi incombenti per una pericolosa «hard Brexit», ad est burrasca in avvicinamento nei rapporti con la Russia. L’Unione europea sembra sempre più un’isola assediata dalle onde tempestose del confuso ordine del mondo globalizzato. I suoi frangiflutti - eretti sulle fondamenta di valori comuni e scelte economico-finanziarie condivise - resistono per ora, anche se già delle crepe si osservano tra i neoaderenti ad Est, inciampati su questioni di Stato di diritto.

La situazione generale è all’apparenza complicata, ma un evento in particolare è destinato potenzialmente a far cambiare la direzione dei venti: gli Stati Uniti non saranno più la superpotenza dei tempi andati, ma l’impatto delle sue elezioni presidenziali è in grado di modificare le dinamiche internazionali nel prossimo futuro.

Un’affermazione, il 3 novembre, di Joe Biden riporterebbe il sereno in Occidente e l’arcobaleno tornerebbe a risplendere sull’Atlantico.

Boris Johnson perderebbe a Washington quella sponda necessaria per sperare in un successo certo delle sue politiche conservatrici.

Il progetto di area anglo-americana, tanto caro ai nostalgici settantenni in funzione anti-globalizzazione, tornerebbe così in soffitta ed il premier britannico sarebbe costretto a più miti consigli, affinché il Regno Unito non finisca politicamente circoscritto dalla Manica e dall’oceano e forze centrifughe interne (si legga scozzesi) non inizino ad ingrossare ulteriormente le fila.

Vale un discorso più o meno simile – di perdita di sponda oltreoceano – anche in Ue per certi Stati, fuggiti nel 2004 da un avverso destino storico geopolitico, che non condividono ancora in pieno certi valori comuni e che sono entrati in rotta di collisione con Bruxelles.

Il caso Navalnyj ha, invece, determinato la presa d’atto definitiva da parte dei Ventisette che il rapporto tra Ue e Russia è vicino al naufragio. I tentativi di salvarlo, dopo la crisi ucraina del 2014, non hanno portato frutti. Con Biden alla Casa bianca si tornerà a scenari di forti incomprensioni, già osservati in passato, tra i due Poli continentali.

Se, invece, Donald Trump dovesse ottenere un secondo mandato vi è il pericolo di un attacco frontale al progetto europeo. L’Ue potrebbe trovarsi nella condizione di dover fare scelte anche dolorose e, forse, di mettersi in trincea.

La storia insegna che spesso sono soprattutto dinamiche o eventi esterni a mettere in crisi unioni, imperi o realtà statali al loro interno anche solidi. È stato così ad esempio per l’Urss con la crisi petrolifera e la corsa agli armamenti degli anni Ottanta, per l’Impero austro-ungarico con lo scoppio della Prima guerra mondiale.

La soluzione è, allora, - per non dipendere dagli altri - all’interno rinserrare le file, accelerare e migliorare il costrutto europeo, mentre all’esterno serve contare di più nel mondo. Se si guarda alle ultime crisi in Libia, Siria, Caucaso o alle mosse antipatiche turche nel Mediterraneo orientale ci si rende conto che i singoli Stati membri Ue, in particolare dopo l’uscita britannica, non riescono più ad influenzare gli eventi internazionali. Manca in breve una politica estera comune Ue, che non può più fare a meno di avere anche a disposizione una forza militare. Va bene essere membri della Nato, organizzazione garante della sicurezza continentale, ma mostrare il solo «cannone» economico-finanziario in certi scenari non aiuta e si rischia comunque di uscire da certi contrasti con le ossa rotte. Purtroppo la si conosce bene la natura dell’uomo. Prevenire è meglio che imbestialirsi dopo per la frittata fatta.

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