Usare il Mes serve anche
alla cultura scientifica

Da tempo il mondo della scienza evidenzia il grave pericolo per la nostra società di una scarsa diffusione della cultura scientifica. Questa situazione ha sensibilmente contribuito a ridurre la capacità d’innovazione del sistema-Paese e ha aperto pericolosi varchi al rifiuto dei risultati della ricerca. Ne abbiamo avuto conferma dal fenomeno dei «no vax», assurto a livello ideologico/fideistico, dai comportamenti estremi degli «ultras vegani», dal ricorso a terapie alternative salvifiche come il metodo «Stamina», dalla negazione di tutti gli allarmi sul riscaldamento e sull’inquinamento della terra e, proprio in questi giorni, dalla negazione degli effetti del Covid. Di tutti questi problemi si occupa il centro studi «Observa Scienze in Society», che dal 2005 pubblica «L’Annuario Scienza Tecnologia e società» che si prefigge di fotografare lo stato della cultura scientifica in Italia e nel mondo.

Dall’Annuario 2020 risulta in leggera flessione il fenomeno dell’analfabetismo scientifico. Migliora nel complesso la sensibilità ai problemi dell’ambiente, cresce il desiderio d’informazione scientifica attraverso i giornali, la tv e la radio. Elementi meno confortanti emergono invece dalle classifiche che l’Annuario redige nei vari campi della cultura scientifica. Siamo al tredicesimo posto in Europa per numero di laureati e dottorati nelle discipline scientifiche. Nell’ambito dei Paesi Ocse, siamo al ventisettesimo posto rispetto al Pil per investimenti in ricerca e sviluppo (1,4%), la Corea è al primo (4,6%), Israele al secondo (4,5%) e la Svizzera al terzo (3,4%). Per la spesa in ricerca di base siamo diciannovesimi (0,32%) con la Svizzera in testa (1,29%).

Questa grave situazione pesa da tempo. Ne sono responsabili non solo i governi del nostro Paese degli ultimi 50 anni, ma una larga parte dei mezzi d’informazione che non hanno aiutato i cittadini a comprendere l’importanza della ricerca e del ruolo svolto dalla comunità scientifica nazionale. Ci è voluto il Covid-19 perché tanti illustri scienziati italiani, tra cui autorevoli bergamaschi, assumessero una meritoria visibilità per le iniziative intraprese nel corso della pandemia e per le utili indicazioni fornite per contenerla.

Nemmeno l’università italiana esce bene dalle statistiche internazionali. Nessun ateneo è incluso nei dieci migliori al mondo e nemmeno nei dieci migliori in Europa. Dal sito di World University Ranking, al 153° posto compare la Scuola Sant’Anna di Pisa, al 161° la Normale di Pisa e al 201° l’Università di Padova. Nessuna università italiana figura nella classifica delle più innovative al mondo, che vede in primo piano alcune università cinesi. Per quanto concerne la sensibilità dei cittadini verso la scienza, l’Annuario 2020, dopo aver evidenziato qualche progresso, ci dice che siamo ancora: sotto la media Ue per la sensibilità nella separazione dei rifiuti a scopo di riutilizzo; al sesto posto nella valutazione della gravità del cambiamento climatico; al 23° posto nella fiducia ai vaccini. Quest’ultima posizione, peraltro, potrebbe migliorare perché la pandemia ha contribuito a far comprendere l’utilità dei vaccini antinfluenzali e ha originato grande attesa per il vaccino anti Covid. Non sono di questo avviso, però, quelle centinaia di esagitati «negazionisti» che a Milano e a Roma hanno manifestato negando l’esistenza del Covid e l’utilità dei vaccini. Preoccupa anche che, nel corso dell’estate si sia dovuto assistere ad una diffusa irresponsabilità circa il rispetto delle regole, distanze e mascherine, soprattutto da parte di molti giovani, come testimonia la ripresa dei contagi anche tra chi ha tra i 20 e i 40 anni.

In presenza di una situazione così poco soddisfacente della cultura scientifica, è paradossale che si debba assistere ad estenuanti discussioni circa l’opportunità di accedere ai fondi del Mes che potrebbero essere destinati alla ristrutturazione e alla costruzione di molti ospedali, alla sanificazione di scuole e aziende e a finanziare numerose borse di studio per la ricerca che potrebbero anche favorire il ritorno in Italia di molti giovani impegnati con successo all’estero.

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