Verità e demagogia
Il gioco del governo

È possibile esercitare un buon governo senza conoscere la realtà che si è chiamati ad amministrare, senza la consulenza di esperti, di persone che ne sanno di più? Evidentemente no. I mezzi di informazione ogni giorno ci inondano di annunci governativi, di decreti di legge imminenti, di proposte allo studio. I militanti vi aderiscono, senza mettere in discussione la validità delle proposte. Ma c’è anche chi ha una posizione favorevole però più distaccata dai partiti di maggioranza e chi invece vi si oppone. Gli appartenenti a queste due categorie vorrebbero capire la rispondenza delle riforme ai problemi, per valutarne l’efficacia.

Giuseppe De Rita, fondatore e presidente del Censis, il Centro studi investimenti sociali che da oltre 50 anni analizza i cambiamenti del Paese, ha scritto che a proposito di questa sovrabbondanza di attivismo governativo colpisce «la bassa consistenza dei dossier di riferimento (una volta si chiamavano burocraticamente incartamenti) che abbiano qualche pagina di approfondimento delle variabili economiche, sociali, politiche, di quanto si è deciso o si intende decidere. Si fa affidamento sull’impressività emotiva del titolo d’intervento (decreto dignità, decreto sicurezza, decreto crescita) e si evita di spiegarne le articolazioni di contenuto e di possibile esito con un po’ di materiale istruttorio».

In realtà alcuni dossier e istruttorie sono reperibili sui siti dei ministeri, o nelle agenzie di stampa che però non diventano notizie. Si prenda ad esempio il tema dell’immigrazione, il più sfruttato dal socio di maggioranza governativa più forte, la Lega, che lo abbina sempre e solo al problema sicurezza. Venerdì scorso è stato presentato il nono rapporto del ministero del Lavoro dal quale si evince che gli stranieri che entrano nel nostro mercato occupazionale si fermano in prevalenza a incarichi di bassa qualifica. Poco meno dell’80% è operaio, percentuale che scende al 30% tra i «nativi». E non è solo lo scarso titolo di studio a relegare gli immigrati in queste posizioni: la quota degli stranieri laureati che esercitano professioni richiedenti competenze di base o medie è il 63%, a fronte del 17,5% per i nostri connazionali. Gli immigrati non rubano il lavoro agli italiani ma si adeguano ad esercitare mestieri che spesso noi non vogliamo fare, soprattutto se in possesso di un titolo di studio alto.

Eppure quante campagne demagogiche vengono fatte su questo tema, pur sapendo, dati alla mano, che la situazione è diversa? Inoltre lo straniero che non lavora è mantenuto da uno Stato di cui è ospite, quello che lavora esercita un «furto» di posti: mettiamoci d’accordo. Altro capitolo: le navi delle Ong prese di mira dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. Ebbene, secondo dati del Viminale, cioè del suo ministero, al 9 luglio scorso le imbarcazioni umanitarie hanno portato a terra solo 297 persone sulle 3.082 approdate in Italia nei primi sei mesi dell’anno: solo il 10 per cento. In questo lasso di tempo sono sbarcate 13.263 persone in Spagna, 18.294 in Grecia. Dal 2005 è la deprecata (dai sovranisti) Germania il Paese europeo che più di tutti ha accolto migranti: l’anno scorso aveva 307 mila richieste di asilo pendenti.

E ancora: sempre secondo dati del Viminale, dal 30 giugno 2018 al 30 giugno 2019 in Italia i migranti accolti in strutture sono passati da 165.080 a 108.924, un crollo del 34% dovuto alla fine della protezione umanitaria e al giro di vite sulle richieste d’asilo. L’effetto? 56 mila nuovi clandestini che tirano a campare in strada. Ogni governo tende a fare uso della demagogia, anche a piccole dosi e alla ricerca del consenso. Ma l’esecutivo gialloverde sta abusando dell’immigrazione, sapendo che è nelle preoccupazioni degli italiani dopo l’economia, tema sul quale c’è incertezza a Palazzo Chigi, con le esigenze dei partiti che si scontrano con risorse limitate. I dossier non mancano: non ci vengono raccontati, ma sono tutti sui siti dei ministeri.

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