Donna 27enne di Pedrengo arrestata con l’accusa di doppio infanticidio

La mamma avrebbe soffocato i suoi due figli piccoli in due diversi momenti. I sospetti dopo il secondo decesso, poi le indagini che hanno portato al provvedimento di custodia cautelare in carcere.

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Un’accusa pesantissima, terribile, quella di aver ucciso i suoi due figli, una bambina di quattro mesi nel 2021 e un maschietto di due nel 2022. Una donna di 27 anni di Pedrengo – Monia Bortolotti, di origine indiana e residente in Bergamasca fin da bambina quando fu adottata da una coppia – è stata arrestata nella mattinata di sabato 4 novembre dai carabinieri e portata in carcere.

I sospetti e le successive indagini

Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Bergamo e condotte dalla Sezione Operativa della Compagnia Carabinieri di Bergamo, hanno consentito di raccogliere gravi indizi di colpevolezza a carico della donna, che avrebbe cagionato la morte della sua prima figlia il 15 novembre 2021, di soli 4 mesi, e del secondo figlio il 25 ottobre 2022, di appena due mesi di vita.

L’esito dell’autopsia, giunta nel mese di febbraio di quest’anno, ha portato alla luce la circostanza per cui la morte del piccolo era stata causata inequivocabilmente da una asfissia meccanica acuta da compressione del torace: secondo gli investigatori tale asfissia meccanica era stata ottenuta attraverso un’azione volontaria, che evidenziava l’obiettivo di causare la morte del bambino.

La rivalutazione sulla morte della prima bimba

Tali evidenze investigative avevano reso indispensabile un’accurata rivalutazione delle cause della morte della prima figlia, avvenuta il 15 novembre 2021. Anche in quell’occasione a casa era presente solo la madre, la quale aveva riferito di aver dato il latte alla bambina e di averla fatta digerire in braccio fino a farla addormentare, per poi constatare, dopo essersi fatta una doccia, che la piccola, distesa nella propria culla, era diventata cianotica e non respirava più. Il medico intervenuto, nel constatare il decesso della bambina, in assenza di evidenti segni esteriori visibili all’esame esterno, aveva dichiarato di aver aspirato abbondante latte dal tubo endotracheale della bambina e aveva quindi spiegato che probabilmente la nascita prematura della stessa, nata di 7 mesi, aveva comportato un deficit della deglutizione, così da ritenere che la morte fosse avvenuta per cause naturali, riconducibili alla Sudden Infant Death Syndrome (SIDS), comunemente nota come «morte in culla», che consiste nella morte improvvisa e inaspettata del lattante, senza che fossero necessari ulteriori approfondimenti, consentendo il successivo seppellimento della salma.

La riesumazione della sorellina

Così il Pubblico Ministero disponeva, a distanza di quasi due anni dai funerali della piccola, nel cimitero di Pedrengo la riesumazione del suo cadavere per effettuare l’esame autoptico. Purtroppo dei danni alla bara non avevano consentito una buona conservazione della salma, motivo per il quale l’esame in questione era risultato inevitabilmente falsato e non aveva restituito informazioni risolutive per le investigazioni in corso. Ciò nonostante, l’indagine, proseguita in modo tradizionale, attraverso numerose escussioni di medici, parenti, specialisti e amici della donna, nonché attraverso l’analisi della corposa documentazione medica acquisita, consentiva, anche in relazione alla morte della prima figlia, di far emergere gravi indizi di colpevolezza a carico della donna, risultati in particolare da una serie di dichiarazioni discordanti fornite dall’indagata nel corso del tempo, che non avevano trovato corrispondenza con quanto accertato dai carabinieri: la bambina, sebbene nata pretermine e leggermente sottopeso, all’atto delle dimissioni dal nido e nelle successive visite pediatriche era una bambina sostanzialmente sana, come il fratello: pertanto la morte era verosimilmente avvenuta non per cause naturali, ma per asfissia, così da non lasciare sul cadavere segni esteriori visibili all’esame esterno, ma al tempo stesso compatibile sia con una condotta omicida analoga a quella utilizzata dall’indagata nei confronti del secondo genito, sia con l’utilizzo di un cuscino, a cui la donna aveva fatto riferimento, indicandolo quale possibile causa del soffocamento accidentale della piccola, solo dopo aver appreso delle indagini a proprio carico.

Le conclusioni delle indagini

Così, all’esito degli accertamenti effettuati, il quadro indiziario delineato individuava la causa scatenante dell’azione infanticida, per entrambi i delitti, nell’incapacità della madre di reggere alla frustrazione del pianto prolungato dei bambini, escludendone la possibile connotazione colposa. Nel corso dell’indagine non è emerso, dall’esame della documentazione sanitaria dell’indagata prima e dopo gli eventi criminosi, un disturbo di tipo psichico della donna, pertanto si ritiene che abbia agito nella piena capacità di intendere e di volere, apparendo lucida, ben orientata, con grande capacità di linguaggio, razionalizzazione e freddezza, caratteristiche palesate, tra l’altro, nell’organizzazione della propria difesa, dopo aver scoperto di essere sospettata dei due infanticidi.

L’arresto della donna

Il G.I.P. presso il Tribunale di Bergamo, concordando con l’ipotesi investigativa formulata dalla Procura, ha emesso nei confronti della donna, presunta responsabile del duplice omicidio, l’ordinanza di custodia cautelare in carcere che è stata eseguita nella mattinata di sabato 4 novembre, evidenziandone la spiccata pericolosità sociale e un concreto ed attuale pericolo di reiterazione del reato.

Duplice infanticidio di Pedrengo, le indagini dei carabinieri.

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