Marisa, oggi avrebbe compiuto 26 anni
La denuncia che pesa come un macigno

Per Marisa sarebbe stato il primo compleanno lontano dalle violenze dell’ex marito: il matrimonio a 19 anni, la vita nella paura e la forza di denunciare.

Oggi - martedì 5 febbraio - Marisa Sartori avrebbe compiuto 26 anni. E sarebbe stato il primo compleanno, dal 2012, da giovane donna separata, che aveva trovato la forza di chiudere un legame malato: non l’ha potuto festeggiare, perché l’uomo che aveva sposato nel 2012 in Tunisia e che aveva portato a vivere con lei in Italia e dal quale si era appena separata, Ezzedine Arjoun, 35 anni, sabato 2 febbraio le ha tolto la vita a colpi di coltello, nel garage della casa dei suoi, a Curno, dove da aprile Marisa si era rifugiata per sfuggire alle violenze.

La separazione tra Marisa e Ezzeddine risale a poche settimana fa, ma lui non ne voleva sapere, tanto che il 14 gennaio, quando i due dovevano incontrarsi in Comune per la formalizzazione dell’atto lui non s’era presentato. Ma Marisa non aveva fatto un passo indietro. Dopo mesi e mesi di angherie, cominciate subito dopo quelle nozze era pronta a ricostruirsi una vita da sola. Ci aveva provato Marisa a salvare il salvabile, nell’erronea convinzione che l’amore che provava per lui l’avrebbe cambiato, lo aveva detto tante volte ai suoi, alla mamma, alla sorella, agli amici, che a quell’uomo lei voleva bene. Lo aveva detto anche all’avvocato del Centro Aiuto Donna, Marcella Micheletti, a cui si era rivolta a metà gennaio per denunciarlo, quando, aiutata dalle operatrici del Centro, era riuscita a dare il nome giusto a quello che lei chiamava amore: violenza. «Quando l’ho sposato avevo solo 19 anni, ero una ragazzina, ero tanto innamorata», aveva dichiarato Marisa all’avvocato. Ora, come voce di giovane donna prima innamorata e poi disillusa, ferita, maltrattata, violentata, impaurita resta la denuncia che Marisa aveva firmato il 28 gennaio, e che il 29 è finita sul tavolo della Procura di Bergamo.

Ezzeddine da subito, aveva raccontato Marisa, s’era rivelato un uomo violento, non appena si erano trasferiti in Italia. Era lei, appena diciannovenne, a mantenere la famiglia, lui faceva qualche lavoro saltuario, e poi ben presto Marisa aveva scoperto che l’uomo che amava e che aveva voluto come marito abusava di alcol e anche di droghe. E aveva ripetuti e sempre più gravi scatti d’ira, di violenza. E lei, proprio per evitare che Ezzeddine ripetesse quegli atti, «aveva imparato a stare zitta». Zitta davanti all’aggressione del titolare di un appartamento che avevano in affitto a Curno a cui Ezzeddine aveva fratturato il setto nasale perché l’uomo gli aveva ricordato un debito di 10 euro, zitta davanti alla lite che Ezzeddine, nel 2017, aveva avuto con il marito della titolare del negozio di acconciature dove Marisa lavorava, zitta quando lui la insultava e le diceva «sei mia moglie, devi fare come dico io». Zitta, ma sempre più preoccupata, impaurita, tanto da arrivare a chiedere alla sorella Deborha e al suo compagno di poter trasferirsi da loro.

Marisa provava ad allontanarsi dal pericolo, e lui incalzava. Ad aprile 2018 Marisa aveva scelto di andare a stare dai suoi, nella casa di via IV novembre dove sabato è stata accoltellata, di avviare le pratiche della separazione e lui era piombato nella palazzina minacciandola di morte e insultandola: erano arrivati anche i carabinieri per calmare le acque. E lui, per tutta risposta l’aveva avvertita: «Da domani vado in giro con l’acido e se tu mi metti nei guai lo getto addosso a te o ai tuoi». Andava in giro anche con un coltello e un taser per dare scosse elettriche, il marito di Marisa: glielo aveva mostrato, un giorno, mentre chiedeva a un commesso di un ipermercato se poteva ricaricarlo. E a ottobre aveva sfoderato quelle due armi, alla Roncola di Treviolo, dove lui le aveva chiesto di accompagnarlo per andare a prendere alcune cose da un appartamento dove lui abitava: Marisa aveva acconsentito, pensando che non contraddicendolo l’avrebbe fatto ragionare, ma lui l’aveva minacciata e costretta a un rapporto sessuale: «Sei ancora mia moglie, devi soddisfarmi. E se vedo in giro ancora i carabinieri che mi cercano ti ammazzo». Aveva paura Marisa, tanta, ma aveva anche paura di reagire: temeva che sfidandolo le sarebbe capitato il peggio. E così in molte occasioni aveva proprio evitato di chiamarli, i carabinieri, sperando di farlo stare tranquillo, che prima o poi lui avrebbe desistito.

Le persone che l’avevano a cuore, la madre, la sorella, il papà, i conoscenti, cercavano di evitarle rischi, di proteggerla. Lui compariva spesso nei dintorni dell’abitazione, davanti al negozio di parrucchiera a Mozzo dove Marisa lavorava, tanto che la titolare era solita chiudere a chiave la porta per evitare che lui facesse irruzione e nel dicembre scorso era stata costretta a chiamare i carabinieri, perché gli aveva chiesto di allontanarsi e lui non si muoveva.

Era una costante e inquietante minaccia. Marisa aveva anche smesso di fare la babysitter, un lavoro serale che aveva preso per arrotondare, perché temeva che lui potesse aspettarla sotto casa dei suoi datori di lavoro, o tenderle agguati sotto casa. Aveva dovuto chiamarlo, però, a gennaio, per dirgli che il 14 dovevano incontrarsi in Comune per la separazione. Lui aveva cominciato a tempestarla di chiamate, anche 30 volte al giorno, dicendole: «Sei di mia proprietà, perché ti ho sposato, non ci separeremo». E per Ezzeddine il pensiero di quella separazione era un’ossessione: ad aprile scadeva il suo permesso di soggiorno (ottenuto proprio grazie al matrimonio con Marisa), era senza lavoro, nel 2015 era finito nei guai per spaccio di stupefacenti e in Tunisia non poteva tornare: non aveva pagato bollette della luce per più di un anno e lo aspettavano 6 mesi di carcere per morosità. E così il 14 gennaio non si era presentato in Comune per la separazione (che comunque viene registrata in questi giorni), ma era comparso due giorni dopo davanti al bar dove Marisa e la mamma facevano colazione. Ezzedine l’aveva costretta a cancellare tutti i messaggi e le chiamate dal telefonino, avvertendola ancora: «Se fai qualcosa contro di me ti ammazzo». Marisa aveva paura, per se stessa e i suoi cari, era terrorizzata. E a raccontare la sua paura era andata, a fine gennaio, al Centro Aiuto Donna. Aveva capito di essere in serio pericolo. L’aveva firmata quella denuncia, per maltrattamenti, minacce e violenza sessuale, chiedendo anche una misura cautelare nei confronti del marito per avere garantita l’incolumità sua e dei suoi familiari. Era il 28 gennaio». Il 2 febbraio è morta sotto le coltellate di Ezzeddine.

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