Processo Tizzani, confronto tra genetisti. Portera: già successe contaminazioni nei laboratori del Ris

Il confronto Si è dibattuto principalmente sulla traccia di Dna riconducibile all’imputato, repertata sul cutter usato dall’assassino.

Confronto fra genetisti questa mattina 10 giugno al tribunale di Brescia, nel corso del processo di appello a carico di Antonio Tizzani, l’ex ferroviere accusato di aver ucciso la moglie Gianna Del Gaudio il 27 agosto 2016 a Seriate, assolto in primo grado. Si è dibattuto principalmente sulla traccia di Dna riconducibile all’imputato, repertata sul cutter usato dall’assassino. Secondo l’accusa è la prova che è stato l’imputato a uccidere la moglie. Per il difensore Giovanna Agnelli siamo invece di fronte a una contaminazione che potrebbe essere avvenuta all’interno dei laboratori del Ris di Parma oppure per trasferimento dal sacchetto in cui era contenuto il cutter e che, provenendo da casa Tizzani, poteva essere stato maneggiato in precedenza dall’imputato.

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Il maresciallo Dario Capatti, della sezione Biologia del Ris, ha definito altamente improbabile la contaminazione in laboratorio. Alcune operazioni sono state effettuate dopo che era stato aperto il campione salivare di Tizzani usato per il raffronto. Ed è possibile, ha sostenuto Giorgio Portera, consulente genetista della difesa, che la contaminazione sia avvenuta proprio in quel momento. Portera ha accennato a un elemento mai uscito finora. «Il 31 gennaio 2017 è stata constatata una contaminazione sul sacchetto - ha rivelato il genetista - e l’intero ciclo di amplificazioni è risultato contaminato ed è stato scartato. Questo per dire che la contaminazione è un evento che avviene».

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Il maresciallo Capatti ha ribattuto che, essendo stata rilevata la contaminazione in quel caso , significa che i controlli funzionano e che sarebbe stato quindi scartato anche il profilo genetico di Tizzani sul cutter qualora ci fossero stati dubbi. Il sottufficiale del Ris ha spiegato che tra l’apertura del campione col dna dell’imputato e le lavorazioni sospettate di contaminazioni erano state effettuate operazioni per altri casi e che il profilo genetico dell’ex ferroviere non era stato rilevato. Dunque, impossibile, secondo Capatti, che il dna dell’imputato si trovasse sul bancone e fosse finito inavvertitamente nei reperti da analizzare.

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