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Martedì 22 Aprile 2025
Al Donizetti c’è Brachetti: «Io, Peter Pan con un piede per terra»
L’INTERVISTA. Arturo Brachetti, trasformista e illusionista, il 28 maggio sarà al Donizetti con «Solo» a favore del Cesvi. «Il teatro non morirà mai, digitale e fake news fanno crescere la voglia di vedere cose dal vivo»

«Credo che l’età sia solo un numero: ognuno di noi può decidere nel corso della giornata quanti anni avere. Durante i miei spettacoli il pubblico vede sul palcoscenico un Peter Pan di quasi 70 anni, convinto che non sia grave restare sempre un po’ bambini». Arturo Brachetti non ha dubbi: l’età anagrafica non ha alcuna importanza, ciò che conta è avere un cuore puro, una grande fantasia e la capacità di staccarsi dalla realtà e lasciarsi avvolgere dalla magia.
Trasformista, attore, illusionista e regista teatrale, Brachetti è il più importante interprete del trasformismo a livello mondiale. Mercoledì 28 maggio alle 21 sarà al Teatro Donizetti di Bergamo con il suo spettacolo «Solo», un varietà funambolico durante il quale prenderanno vita più di 65 personaggi. Sarà anche un’occasione unica per coniugare arte, intrattenimento e solidarietà: una parte del ricavato andrà infatti a sostegno del Programma Case del Sorriso di Cesvi, l’associazione umanitaria fondata a Bergamo nel 1985. Brachetti ha accettato l’invito a festeggiare con il suo spettacolo i 40 anni di questa associazione. Lo abbiamo intervistato.
A partire dagli anni 80 lei ha ridato vita all’arte del trasformismo, scomparsa dopo la morte di Leopoldo Fregoli nel 1936. Da dove è scaturita l’esigenza di far rinascere questa forma artistica?
«In realtà è capitato per caso. Ero un ragazzino timido e i miei genitori mi hanno fatto entrare in seminario, dove ho conosciuto un sacerdote appassionato di giochi di prestigio, che mi ha fatto scoprire il personaggio di Fregoli, regalandomi la sua biografia. Pur vergognandomi, ho iniziato a travestirmi per fare i giochi di magia. Ho iniziato con 3 personaggi, poi sono passato a 6 e sono partito per Parigi per fare un’audizione. Sono stato subito scritturato e lì ho scoperto che ero l’unico trasformista in velocità al mondo. Sono partito per Parigi con 6 costumi e ora a casa ne ho 450».
Si può dire che è uscito dal seminario con una vocazione diversa da quella che pensava di avere?
«È così. Quando lasciai il seminario, il prete mi disse “Non è importante avere una vocazione religiosa, ciò che conta è avere una vocazione. Se la tua è quella di far sorridere e far sognare devi perseguirla”. È fantastico sentire una chiamata e poterla seguire. Durante gli anni ho continuato a imparare cose nuove: nei miei spettacoli ci sono 65 trasformazioni, ma anche le ombre cinesi, i disegni con la sabbia, la lotta con le luci laser. Si tratta di una grande varietà di prestazioni artistiche. Hanno tentato varie volte di imitarmi, ma sono riusciti a copiare l’hardware, non il software».
In effetti la sua arte richiede un intenso lavoro di preparazione, sia a livello fisico che mentale. Come si prepara agli spettacoli?
«Quando non lavoro faccio ginnastica. Seguo una dieta, non bevo, non fumo, ma tutto ciò non mi pesa assolutamente, perché il premio che ricevo è inestimabile: la possibilità di portare sul palcoscenico uno spettacolo unico, che ha una sorpresa ogni 20 secondi. Ogni volta è un’esperienza divertente e appagante».
Durante i suoi spettacoli si viene trasportati in un mondo magico, lontano dai problemi della realtà quotidiana. Risiede qui il segreto del suo grande successo?
«“Solo” è in cartellone da otto anni e sta funzionando ancora benissimo. È un momento consolatorio, un antidoto alla tristezza, oserei dire che funziona da antidepressivo. Negli anni ’40 il teatro di varietà andava fortissimo, perché la gente era stanca di storie tristi. Il mio musical “Cabaret” - che è arrivato a 150 repliche e di cui sono molto orgoglioso - è ambientato nel periodo della nascita del nazismo: in questo caso non era semplice vendere i biglietti. Lo spettacolo che porto a Bergamo, però, non è solo ludico, ma ha diversi livelli di lettura: il primo è quello della meraviglia, poi ci sono i diversi riferimenti culturali (alla pittura, alle citazioni, alle immagini iconiche), infine c’è il livello emotivo: il pubblico vede in me un Peter Pan che dimostra che si può sempre volare, anche mantenendo almeno un piede per terra.
Lei ha dichiarato di coltivare una sana follia. Ritiene che possa essere di aiuto nella vita oltre che nella professione?
«Io sono curiosissimo, mi piace fare scherzi, mi piace scoprire sempre cose nuove. Per il musical “Cabaret” ho imparato a cantare a 65 anni suonati. Durante il lockdown ho imparato la tecnica della pittura al contrario. La sana follia ha spronato tutti gli artisti nel corso dei secoli. Oggi con i social sembra che tutto sia controllato: tutto ciò che accade finisce in rete e viene giudicato. La libertà che avevano i nostri nonni forse non tornerà più».
«I miei personaggi durano poco più di un minuto, perciò non ho tempo di affezionarmi! Ma c’è un momento in ogni mio spettacolo in cui mi alzo in volo: il palcoscenico si stacca da sotto i piedi, io salgo verso l’alto, vedo tutto rimpicciolirsi e inizio a fare capriole
Lei realizza un sogno che ognuno di noi ha fatto almeno una volta nella vita: cambiare identità. Lei però ne cambia più di 60 in una serata. Ce n’è una in cui si trova più a suo agio e in cui vorrebbe restare più a lungo?
«I miei personaggi durano poco più di un minuto, perciò non ho tempo di affezionarmi! Ma c’è un momento in ogni mio spettacolo in cui mi alzo in volo: il palcoscenico si stacca da sotto i piedi, io salgo verso l’alto, vedo tutto rimpicciolirsi e inizio a fare capriole. È un piacere fisico. Dimentico tutto, mi lascio andare. È persino terapeutico: grazie alle macchine teatrali, se uno non sogna di notte può sognare di giorno. È anche la forza degli spettacoli dal vivo. Il teatro non morirà mai: più si diffondono video, contenuti digitali, fake news, più la gente vuole vedere cose dal vivo, fidandosi solo di ciò che vede. Tra vent’anni forse non lo chiameremo più teatro, si chiamerà “esperienza immersiva interattiva”, ma sarà sempre un modo per vivere emozioni vere accanto ad altre persone che ridono e piangono insieme a te, creando una grande energia. Penso che sia necessario investire di più in questo settore. L’anno scorso sui palchi italiani sono state rappresentate 80 commedie musicali, di cui 75 terribili. Questa situazione fa del male a tutti e soprattutto ai ragazzi che vanno a teatro per la prima volta e pensano che il teatro sia qualcosa di noioso e amatoriale, privo di magia. George Bernard Shaw diceva che esistono tre generi di teatro: comico, drammatico e noioso. Quello noioso è il teatro che costa meno e che ha meno idee».
Lo spettacolo che porterà a Bergamo è realizzato in collaborazione con il Cesvi. Pensa che la voce di voi artisti possa sensibilizzare maggiormente sui temi importanti di cui si occupano queste associazioni?
«Ci sono tantissime organizzazioni umanitarie meritevoli di aiuto e attenzione ed è difficile per loro farsi riconoscere e avere spazio. Cesvi utilizzerà il mio spettacolo per sensibilizzare quelle mille persone che saranno presenti al Donizetti: è solo un mattoncino, ma ha una sua grande importanza».
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