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Lunedì 09 Giugno 2025
Famiglie e imprese alla prova della Ia
ITALIA. L’Intelligenza artificiale (Ia) è già entrata nella nostra vita in tanti modi insospettabili dei quali non sempre siamo consapevoli. La simulazione di capacità cognitive umane da parte dei sistemi informatici è sicuramente più diffusa di quanto possiamo immaginare. Alcuni studi scientifici internazionali, selezionati per la loro attendibilità e portati di recente all’attenzione del Congresso statunitense, descrivono l’impatto profondo che l’Ia già sta avendo su normali imprese di servizi.
C’è il caso, per esempio, della grande azienda di software in cui una sorta di assistente generato dall’Ia (nella forma di una chat sempre pronta a rispondere) ha registrato e ascoltato migliaia di telefonate del servizio clienti ubicato nelle Filippine. Dopo una fase di «apprendimento», l’assistente Ia ha cominciato ad aiutare gli addetti del call center, suggerendogli le risposte più adatte. A migliorare più rapidamente sono state le performance dei lavoratori neo-assunti, con poca esperienza, i quali nell’arco di soli due mesi hanno conseguito risultati equiparabili a quelli di colleghi che senza l’ausilio dell’Ia mediamente impiegavano almeno il triplo del tempo. Inoltre, i dipendenti che hanno fatto ricorso all’aiuto dell’assistente Ia hanno ottenuto una sensibile diminuzione di casi di alterco o di attacchi verbali da parte dei clienti.
Un altro caso di studio sottoposto ai parlamentari americani è quello degli sviluppatori software di Microsoft. L’azienda - fondata 50 anni fa da Bill Gates - grazie all’Ia ha generato un aiutante virtuale al quale, inizialmente, ha avuto accesso soltanto una parte dei programmatori dipendenti. Nel giro di pochi mesi, si è calcolato che questi «fortunati» hanno risolto con successo un numero maggiore di problemi di programmazione di codice rispetto ai colleghi senza aiutante. Si tratta di appena due esperienze, dai risultati molto visibili e sedimentati nel tempo, tra le molte che si potrebbero raccontare.
E l’Italia?
Rivoluzione in corso, dunque, ma a che punto siamo in Italia? Secondo la Banca d’Italia, è possibile tracciare un primo bilancio per aziende e famiglie. All’interno del più ampio campo dell’innovazione, «per le imprese di ogni dimensione, l’ambito di maggiore ritardo riguarda l’adozione dell’intelligenza artificiale - scrivono gli studiosi dell’Istituto di Via Nazionale - sebbene anch’essa si stia diffondendo velocemente». Tra le aziende con almeno 20 addetti, il 27% ha utilizzato strumenti Ia di tipo predittivo o generativo, un incremento di 14 punti percentuali dallo scorso anno. Sebbene un impiego estensivo dell’Ia sia più raro, «l’adozione aumenta con la dimensione di impresa: coinvolge oltre il 50% di quelle con almeno 500 addetti, ma solo il 23% di quelle con 20-49 occupati». In media siamo ancora indietro rispetto a Paesi come Germania e Spagna, ma l’Ia si diffonde soprattutto all’interno di aziende con pratiche manageriali strutturate, o che investono di più in R&S. La maggiore diffusione è nei servizi a imprese e famiglie, quindi vengono trasporti, magazzinaggio e comunicazioni, seguiti dai comparti energetico e metalmeccanico, solo poi commercio e altri.
Perchè usare l’Ia?
Per ragionare delle possibili conseguenze per il mondo del lavoro, è utile analizzare le motivazioni che spingono le aziende italiane a ricorrere all’Ia. Queste sono mosse in primis dal desiderio di migliorare processi produttivi già automatizzati, proprio come le società di software degli esempi sopra citati, più che dalla necessità di ampliare la gamma di beni e servizi prodotti o di automatizzare mansioni svolte dai lavoratori. Tanto che, scrive sempre Banca d’Italia, «l’analisi suggerisce che l’adozione dell’Ia sia associata a una maggiore crescita osservata e prevista del numero di occupati».
«Un terzo della popolazione attiva ritiene che vi sia una probabilità di almeno il 50% che la GenAI», cioè l’Ia in grado di generare codice informatico, testi e immagini, «migliori la propria produttività lavorativa e il 27% crede che possa facilitare la ricerca di nuove opportunità di lavoro»
Le riflessioni
Sul punto, peraltro, si registra una discreta sintonia tra imprese e lavoratori. Secondo altre rilevazioni di Palazzo Koch, infatti, «un terzo della popolazione attiva ritiene che vi sia una probabilità di almeno il 50% che la GenAI», cioè l’Ia in grado di generare codice informatico, testi e immagini, «migliori la propria produttività lavorativa e il 27% crede che possa facilitare la ricerca di nuove opportunità di lavoro». Mentre è il 13% degli occupati ad aspettarsi «che la diffusione di questi strumenti comporti una significativa possibilità di perdere il proprio impiego».
Soltanto il 25% degli intervistati, però, dice di aver utilizzato strumenti di GenAI nell’anno precedente, e appena il 10% afferma di farne uso almeno una volta alla settimana, percentuali che salgono tra gli occupati, soprattutto uomini e giovani. Aziende e famiglie italiane, per ora, non sembrano aver assunto atteggiamenti pessimistici o catastrofistici rispetto alla nuova tecnologia, ma per fare fronte alle sfide future e per fare tesoro delle opportunità che vi sono associate è necessario accelerare con decisione su maggiore diffusione dell’Ia e formazione necessaria a un uso consapevole.
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