
L'Editoriale / Bergamo Città
Lunedì 16 Giugno 2025
Il ringhio nazionale e un sistema da rifondare
ITALIA. A volerla dire tutta, beh, c’è parecchio da ringhiare. Se poi sarà sufficiente a ridare vita a una Nazionale sul catatonico andante da un po’ di tempo in qua è tutto un altro paio di maniche.
Mettiamola così, nella scelta del nuovo ct azzurro è prevalsa una sorta di mozione degli affetti, quello sguardo nostalgico (sentimento molto italiano) ai bei tempi andati, a quel Mondiale del 2006 vinto in Germania dove Rino Gattuso, detto «Ringhio» era stato un assoluto protagonista. Un manifesto della classe operaia (pallonara) che va in paradiso: Pirlo, Del Piero e Totti dipingevano traiettorie magistrali, lui macinava chilometri e chilometri in campo randellando alla bisogna come se non ci fosse un domani e abbandonando il malcapitato avversario di turno più o meno sulla soglia dello spogliatoio a novantesimo abbondantemente scaduto.
La sfida
Riuscirà il ringhiante ex centrocampista del Milan a ridare un minimo di linfa a una Nazionale che l’ultimo Mondiale l’ha giocato in Brasile nel 2014? Per giunta malissimo vista l’eliminazione già ai gironi, come del resto in quello sudafricano di quattro anni prima dove arrivava da detentrice del titolo. E in entrambi i casi gli azzurri avevano dovuto alzare bandiera bianca contro squadre tipo Nuova Zelanda, Costa Rica, Paraguay e Slovacchia, non proprio il gotha del pallone mondiale. Insomma, per farla breve, l’ultima Nazionale davvero convincente forse è stata proprio quella del 2006 con Gattuso in campo e Lippi in panchina, le vicende successive che dicono di due eliminazioni al primo turno ai Mondiali e due mancate qualificazioni di fila con la terza già a rischio fanno apparire la vittoria agli Europei del 2021 quasi un’eccezione. Arrivata tra l’altro ai rigori, sia in semifinale che in finale.
Obiettivo 2026
Dopo i flop di Ventura, Mancini (che ci ha fatto sì vincere l’Europeo ma ha ciccato la qualificazione ai Mondiali in Qatar) e Spalletti l’Italia prova a ripartire con l’obiettivo primario di non mancare l’aggancio ai Mondiali 2026 spalmati tra Messico, Usa e Canada e pure allargati a 48 squadre. Restare fuori pure questa volta sarebbe oltre l’incredibile per una Nazionale che normalmente si qualificava quando i posti a disposizione erano 16 o 24 e dietro c’era una struttura solida a livello federale, quella che francamente si fatica anche solo a intravedere di questi tempi nonostante il plebiscitario consenso (98,6%) che ha accompagnato la riconferma di Gabriele Gravina alla presidenza della Figc lo scorso febbraio.
Gattuso debutterà come ct proprio a Bergamo il 5 settembre nel decisivo (ma lo saranno tutti) match con l’Estonia , una sorta di ultima chiamata per gli azzurri: con tutto il rispetto del caso il suo palmares da allenatore non è dei più esaltanti (una promozione in B, una Coppa Italia e discreti flop a Marsiglia e Spalato), ma forse in questo momento serviva soprattutto una scossa, o molto più semplicemente altri nomi spendibili non ce n’erano. Vista così non pare una scelta di prospettiva ma d’emergenza, si fa quadrato con qualche ex ragazzo del 2006 nello staff e si va avanti a testa bassa e scariche d’adrenalina cercando di conquistare punto su punto fino allo scontro decisivo con la Norvegia che ce la ha già suonate 3-0 a Oslo, tanto per gradire.
Poi si vedrà, il problema è che servirebbe farlo prima, perché se una Nazionale non centra una qualificazione mondiale da ormai 11 anni e i club nel medesimo arco di tempo hanno vinto una coppa europea una (e l’ha fatto l’Atalanta, non dimentichiamocelo mai...) qualche problema c’è. E pure molto grosso. Soprattutto davanti a una Spagna che mette in campo giovani di talento in quantità industriale, così come una Francia che dai flop passati ha fatto nascere un centro federale come Clairefontaine dove stati fatti crescere i tanti big transalpini. O la Germania che nel 2000 ha voltato pagina e ricostruito le Nazionali dalle fondamenta, ovvero dal basso. In Italia invece si continua a non scommettere sui giovani (non solo nel calcio, in verità) e navigare a vista senza un progetto, in preda a una sorta di emergenza diventata ormai strutturale in un calcio che ha fatto di Coverciano una sorta di mausoleo dei bei tempi andati. Cosa stiamo aspettando? Che sia troppo tardi, come scriveva meravigliosamente Alessandro Baricco in «Oceano mare». In ogni caso auguri a «Ringhio», ne ha bisogno. Tanto.
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