L’economia in bilico, investimenti da rilanciare

ITALIA. Come sta davvero l’economia italiana? C’è troppo chiasso per valutare serenamente, e il cittadino risparmiatore è solo confuso dai Tg serali, con tre dichiarazioni euforiche e altre tre catastrofiste.

A parte la disaffezione che ne consegue, meglio cercare dati neutrali. Ma allora fa un certo effetto la «survey» dell’Ocse che ha scritto sull’Italia cose che sembrano l’eterna fotocopia di quello che questo organismo ripete da anni. Eccessivo aumento della spesa su pensioni, sanità e assistenza e incremento degli interessi, con previsione di debito al 180% nel 2040. Seguono rituali esortazioni a metter mano a pensioni e fisco (non era già fatto?), con timido accenno alla necessità di una patrimoniale.

Ma allora non è successo niente, come sembra suggerire il ritorno del Pil allo zero virgola, quest’anno 0,7, l’anno passato 0,6? Non c’era la grande spinta del Pnnr? Non erano arrivate buone notizie sull’occupazione, la produzione, l’inflazione? In realtà cose vere e false, perché alcuni pezzi di inflazione mordono ancora, alcuni settori dell’occupazione sono a rischio, l’export è assalito dai pirati del Mar Rosso. L’unico dato oggettivo potrebbe essere lo spread, poco sopra i 150 punti. Ma lo spread è sempre stato un indicatore politico, legato alla fiducia. Può far saltare anche un governo a larga maggioranza (Berlusconi), ma, se ora scende, vuol dire che i mercati si aggrappano all’estetica moderata, conciliante, inclusiva verso l’Occidente della premier Meloni. È una buona cosa per il Governo, che incassa sul mercato globale un sollievo proporzionale ai timori iniziali. Sotto sotto, ora Meloni fa il tifo per Biden e, con grandi sorrisi, per la von der Leyen, dimenticando il filo Trumpismo, le pacchie di Bruxelles, le amicizie con Vox e Orban. Ma la politica cambia a seconda del vento - il no al Mes è stato un temporalaccio - per ora conviene a tutti un’Italia allineata all’Occidente, e la Germania sta peggio. Però i numeri non tornano. Quello 0,6/0,7 di crescita non solo è demoralizzante, ma è la metà di quanto è stato ipotizzato per costruire la manovra di bilancio. Già a gennaio le cifre (l’altra è un deficit al 4,3%, figuriamoci) su cui si è giurato a dicembre non valgono più, e tra poco bisognerà correre per trovare di nuovo i 16 miliardi per il pezzettino di cuneo fiscale che è stato aggiunto agli strati dei governi precedenti.

E intanto devono partire le riforme bandiera: quella più veloce delle autonomie non ha una lira per compensare i nuovi equilibri regionali, che verranno, se verranno, tra almeno 2-3 anni. Del premierato non si parla un granché ai mercati rionali. Parte con qualche sobbalzo l’altro pilastro del bilancio triennale: la vendita di pezzi della proprietà statale (insieme però all’acquisto miliardario di proprietà ora private…). Sarebbero 20 miliardi (che se poi non ci sono, fan cascare tutto il castello). Vengono chiamate privatizzazioni, anche se queste sono altra cosa e cioè un disegno, una filosofia di liberalizzazione che gran parte della maggioranza (ma anche della minoranza, salvo Bersani) non ama. Senza pilastri, siamo nelle sabbie mobili. Servirebbe il Pnrr, lo abbiamo detto, che scambia soldi con riforme, ma per ora sembra un piano di aggiustamenti. Le riforme l’Ocse non le ha viste. Sta emergendo tra l’altro che l’impostazione ecologista europea comincia a trovare forti contrasti. In Francia, l’agricoltura è già sulle barricate e da noi i ministri Lollobrigida e Salvini (che se la prende con le auto elettriche e le case green) stanno già facendo di questa frenata un vessillo elettorale.

Le riforme si devono fare, con i loro tempi. L’economia ha bisogno subito, ma da almeno 15 anni, di innovazione e di investimenti, che sono cresciuti solo nelle abitazioni, sotto l’ombrello superbonus. Nel settore chiave della ricerca, in 23 anni, solo il +3,5%. E ci stupiamo se la produttività è piatta. L’economia del Paese è insomma in bilico. Se il quadro internazionale peggiora, lo spread parlerà. Non a caso il ministro Giorgetti ha esortato ad aprire cantieri, non dibattiti.

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