Scuola, torna il voto in condotta. I presidi: «Reprimere non basta, meglio educare»

LA RIFORMA. Con il 5 scatta la bocciatura, debito in Educazione civica con il 6. Ghilardi (Anp): «Giusto trasformare la sospensione in attività sociali». L’approfondimento su L’Eco di Bergamo del 21 aprile.

Per il via libera definitivo manca solo la votazione della Camera, scevra di particolari insidie dopo l’ok del Senato arrivato nella giornata di mercoledì 17 aprile. La riforma del voto in condotta è ormai dietro l’angolo, con una stretta ulteriore per contrastare i comportamenti violenti nelle scuole. Per chi a Bergamo vive quotidianamente il mondo dell’istruzione, è però importante non perdere di vista l’impegno educativo, anche nelle sanzioni, perché la sola repressione non porta risultati.

Le novità, in sintesi. Il voto in condotta, espresso in decimi, viene introdotto anche per le scuole secondarie di primo grado (le medie): e alle medie come alle superiori, con il 5 (o con un voto inferiore) scatta la bocciatura. Le novità sono anche per le secondarie di secondo grado (le superiori): se il voto finale in condotta sarà 6, ci sarà il «debito» in Educazione civica, da recuperare a settembre; dal voto 7 in poi, tutto resta come prima. Si ricalibra però il criterio di giudizio: il voto in condotta sarà basato sull’intero anno scolastico, non più sul singolo quadrimestre, e nella valutazione dovrà essere dato particolare rilievo a eventuali atti violenti o di aggressione nei confronti di insegnanti, personale scolastico e studenti. Novità anche per le sospensioni: fino ai 2 giorni, lo studente sarà coinvolto in attività di riflessione e approfondimento che dovranno culminare in un elaborato critico; se la sanzione supera i 2 giorni, lo studente sarà assegnato ad attività di «cittadinanza solidale» in strutture convenzionate.

«Aggressività più diffusa»

La rimodulazione del voto in condotta «non porta a modifiche davvero sostanziali per quel che riguarda le superiori – commenta Claudio Ghilardi, dirigente scolastico del liceo Sarpi e presidente della sezione bergamasca dell’Associazione nazionale presidi –. La volontà del ministero di intervenire sulla valutazione del comportamento può essere un segnale di attenzione su aspetti che toccano la vita e le relazioni quotidiane nella scuola, ma non è assolutamente un provvedimento risolutivo o che possa modificare più di tanto l’andamento generale». Ghilardi allarga lo sguardo: «I ragazzi sono cambiati così come è cambiata la società: l’aggressività senza controllo è diventata più diffusa, il problema è che lo è negli adulti prima ancora che nei minori. Se un adolescente lo vede negli adulti, si sente legittimato a quel comportamento. Servirebbe una reale comprensione della diffusione di questi fenomeni e una riflessione anche da parte degli adulti». Sulla commutazione della sospensione in attività educative, «questa è un’ottima scelta: in molte scuole già si applica», aggiunge Ghilardi, perché «la sospensione in sé non è un provvedimento educativo, ma un messaggio d’isolamento: un’opportunità educativa, invece, significa inclusione». Ma nelle scuole bergamasche ci sono episodi di violenza? «Dalla mia esperienza, certo circoscritta – precisa Ghilardi –, assolutamente non vedo una recrudescenza».

«Se c’è una mancanza da parte di uno studente, questa va riconosciuta e poi eventualmente sanzionata con gradualità e tenendo conto delle circostanze»

Veronica Migani, dirigente del Pesenti, parte da una premessa: «Se c’è una mancanza da parte di uno studente, questa va riconosciuta e poi eventualmente sanzionata con gradualità e tenendo conto delle circostanze. Ma va sanzionata, perché il ragazzo se lo aspetta: i ragazzi hanno un senso di giustizia molto marcato, una visione causa-effetto, e se non c’è l’effetto perdi di autorevolezza. Allo stesso tempo non si deve però esagerare in senso opposto, perché se si punisce ogni sciocchezza si perde autorevolezza». Ciò che occorre, quando scatta la sospensione, è «creare delle alleanze col territorio, penso alla possibilità di portare quei ragazzi a fare esperienze nell’assistenza di anziani o disabili – riflette Migani –. Può essere utile applicare la legge del contrappasso, come Dante. Mi è capitato quando ero dirigente in un istituto comprensivo di Albino: un ragazzo delle medie che aveva avuto dei comportamenti di bullismo verso persone con disabilità era stato indirizzato a un’esperienza di assistenza proprio a persone disabili, e questo lo aveva portato ad aprire gli occhi sulle fragilità altrui. O ancora, una ragazza fu sospesa perché aveva insultato il lavoro dei docenti, definendoli “scarsi”: la sanzione fu che lei stessa, bravissima in una materia, facesse lezione agli studenti. Venne poi a dirmi: prof, quello dell’insegnante è un lavoro molto difficile, ho capito di aver sbagliato».

I corsi di recupero

Per Cesare Botti, dirigente del liceo artistico Manzù, «si rilevano grandi comportamenti di mancanza di rispetto. Quello che si sconta è il divario generazionale tra studenti e docenti: oggi c’è un’idea di adulto diversa, legata ai cambiamenti della società, e sta alla professionalità dei docenti riuscire a creare quella relazione con gli studenti che non può più essere la classica visione della scuola gentiliana».

Guardando alle ricadute concrete della riforma, Maria Amodeo, dirigente dell’Istituto Natta, pone una questione: «Vedo complicata l’organizzazione di corsi di recupero in Educazione civica per chi viene rimandato in condotta. Sarebbero state migliori altre soluzioni, basate sulla consapevolezza, sull’autonomia e la revisione degli errori, piuttosto che l’ennesimo esame di recupero, peraltro su una materia in cui è difficile individuare il tema. Il voto di condotta, peraltro, non valuta solo la disciplina, ma anche la partecipazione e la responsabilità». Una particolare fascia critica di studenti è individuata da Imerio Chiappa, dirigente del Paleocapa: «Comportamenti non disciplinati vengono prevalentemente da ragazzi di prima superiore che si rendono conto di aver sbagliato scuola e che non riescono a essere riorientati verso altri istituti. In questo caso, però, per loro è già una punizione dover trascorrere un anno in una scuola non adatta. Questo rende ancora più necessaria una riflessione sull’orientamento e sul raccordo tra medie e superiori».

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