Ora è questione di testa: finire bene, al di là dell’Europa

Ritrovato il sorriso, ritrovati i giusti equilibri in formazione (soprattutto a centrocampo e in attacco), ora per l’Atalanta la volata finale di campionato diventa soprattutto una questione di testa.

Posto che non ci si debba esaltare più di tanto per il 3-1 rifilato a un modestissimo Venezia praticamente già in B (manca solo l’ufficialità dell’aritmetica), la vittoria portata a casa dall’isola di Sant’Elena ha visibilmente ridato morale alla squadra e speriamo le abbia restituito la solida convinzione di essere così forte da poter battere chiunque come nei giorni migliori.

Il calendario è tutt’altro che proibitivo, fatta eccezione per la trasferta a San Siro contro il Milan di domenica 15 maggio: mercoledì il recupero col Torino e lunedì 2 la Salernitana a Bergamo, domenica 8 la trasferta a La Spezia e l’ultima giornata in casa con l’Empoli (da stabilire se domenica 22 o in anticipo). Sulla carta la partita della vita è proprio quella che arriva fra due giorni con i granata, che sono agguerriti e in questa stagione, guidati da Juric (guarda un po’, allievo di Gasperini), hanno regalato soddisfazioni alla loro gente come non accadeva da anni. Adesso il Toro è la fascia degli asteroidi da superare, per usare una similitudine spaziale. E tutti sappiamo che spaziale l’Atalanta ha saputo esserlo eccome nell’era Gasperini. L’importanza della gara col Torino è doppia: con tre punti i nerazzurri, settimi, rientrerebbero nel vivo della corsa a un posto in Europa nel 2022/23, corsa che di slancio potrebbe mettersi in discesa proprio per la spinta mentale che ne deriverebbe.

L’obiettivo Champions ormai sfumato non deve trasformarsi in alibi per un calo di motivazioni. Bisogna finire bene per la dignità di questa nuova Atalanta sbocciata nel decennio scorso, anche se il risultato non dovesse regalare neppure l’ultima Europa della gerarchia, quella della Conference

E la motivazione non dev’essere solo l’Europa, ma ancor prima la salvaguardia stessa di un’identità forte e prestigiosa che è maturata dal 2016/17 cambiando i connotati della società nerazzurra e le aspettative dei suoi tifosi. È soprattutto per loro – fedeli e vicini anche nei momenti difficili, capaci di applaudire pure dopo le sconfitte – che la squadra ha il dovere di spendersi fino all’ultimo minuto di campionato. L’obiettivo Champions ormai sfumato non deve trasformarsi in alibi per un calo di motivazioni. Bisogna finire bene per la dignità di questa nuova Atalanta sbocciata nel decennio scorso, anche se il risultato non dovesse regalare neppure l’ultima Europa della gerarchia, quella della Conference.

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