Razzismo nel calcio, il momento è ancora più sbagliato

Calcio Oggi è la Giornata mondiale contro il razzismo, come ogni 21 marzo da quando l’Assemblea generale delle Nazioni unite dichiarò nel 1967 questo giorno come il momento in cui riflettere contro qualsiasi forma di discriminazione.

Non è una data casuale, ovviamente, ma nasce dal bisogno, universale, di conservare e diffondere il ricordo del 21 marzo 1960 quando a Sharpeville, in Sudafrica, la polizia sterminò 70 manifestanti che protestavano pacificamente contro le leggi razziste emanate dal regime dell’apartheid che era in vigore in quel Paese. Da allora si sono fatti indiscutibili progressi ma razzismo e discriminazione, come ben sappiamo, sono tutt’altro che estirpati. Anche sulla scena sportiva. L’ennesimo episodio registrato sabato nel campionato di Serie A – i buuu e gli insulti al portiere del Milan Mike Peterson Maignan, francese di origini haitiane-guianesi, durante Cagliari-Milan – stride ancor più in questi giorni di appelli e iniziative sul tema, per rinfrescare una memoria che evidentemente stenta a diventare unanimità sociale e patrimonio culturale accolto senza riserve.

L’ennesimo episodio registrato sabato nel campionato di Serie A stride ancor più in questi giorni di appelli e iniziative sul tema

Ed è un tema che ci riguarda tutti, in un mondo globalizzato in cui le occasioni di scambio tra popoli sono quotidiane e senza frontiere. Quel disprezzo senza senso nei confronti del giocatore rossonero (e poi pure verso il compagno di squadra Fikayo Tomori, inglese nato in Canada da genitori nigeriani) stride due volte in questi giorni guerra, che reclamano il risveglio delle coscienze verso valori di fratellanza e di pace, non certo la somma di altra violenza, seppure verbale.

«Abbiamo ancora molta strada da fare e dobbiamo farlo tutti insieme»

Contro il razzismo «abbiamo ancora molta strada da fare e dobbiamo farlo tutti insieme», ha twittato il Milan, mentre il procuratore federale della Federcalcio, Giuseppe Chinè, ha aperto un’inchiesta, con tanto di acquisizione di immagini e audizioni dei tesserati coinvolti (anche per i minuti di tensione a fine partita, quando Maignan e Tomori con la mano sulle orecchie hanno fatto il gesto di chi sta in ascolto). Un atto dovuto, ma la questione che ci preme è un’altra: per quanti anni ancora dovremo registrare e commentare questo sgradevole contorno di una gara? Davvero la storia non insegna nulla, come affermava il Manzoni?

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