Addio Burgnich la roccia, con l’Inter salì in cima al mondo

Con la Nazionale fu campione d’Europa e vicecampione del mondo.

Lo chiamavano la «roccia». Era stato Armando Picchi ad attribuirgli quel nomignolo. Per Tarcisio Burgnich, scomparso nella giornata di mercoledì 26 maggio a 82 anni, era in pratica un secondo nome. È stato infatti uno dei migliori difensori della storia del calcio italiano, durissimo contro i suoi rivali, mai davvero cattivo, ma certo insuperabile. Umile nello sport e nella vita, tuttavia scaltro e quando serviva furbissimo, Burgnich ha fatto suoi gli insegnamenti del primo allenatore a Udine, Comuzzi: con un occhio e mezzo guarda l’uomo, con l’altro mezzo occhio il pallone. In campo era un carabiniere, non gli sfuggiva nulla. Esordì nell’Udinese, ventenne, c’era anche Dino Zoff, un segno del destino. Giocò stopper e terzino, una vita in difesa, metteva pezze nei varchi lasciati dai compagni, soprattutto metteva sempre la gamba. Ai mondiali del 1970 tentò di fermare Pelè quando òrei saltò in cielo per colpire di testa e insaccare nella porta azzurra, «ma non potevo riuscirci -dirà poi lui- perchè in realtà stavo appena arrivando a marcarlo e non ero ancora in posizione, perchè Valcareggi aveva cambiato le marcature in corsa». Con la maglia azzurra fu campione d’Europa nel 1968 e vicecampione del mondo nel 1970.

In carriera, l’attaccante che lo mise più in difficoltà non fu l’imperatore brasiliano, bensì per sua stessa ammissione Ezio Pascutti del Bologna, e poi lo jugoslavo Dragan Dzajic, li detestava entrambi calcisticamente, gli sfuggivano come anguille.

Burgnich giocò con tante squadre, l’esordio con la sua Udinese nel 1958, un anno da meteora nella Juventus, poi un altro anno al Palermo, quindi dodici stagioni con l’Inter dal 1962 al 1974, l’incontro con Helenio Herrera, personaggio che lui adorava e che gli spalancò le porte del mondo, «stare con lui era come essere su un’astronave. Era sempre un passo avanti. Uomo sobrio, serio, era stato povero, ci esortava a non buttare via i soldi che guadagnavamo, ci insegnò a fare yoga per concentrarci». Con i nerazzurri infilò 467 presenze in gare ufficiali, vincendo 4 scudetti, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali. Ci restò male quando a un certo punto lo considerarono vecchio, finì al Napoli e sfiorò lo scudetto nel 1975. Poi la carriera da allenatore, è stato sulla panchina di molte squadre, l’ultima volta nel 2001 con il Pescara. Burgnich è uno dei monumenti del calcio italiano. Una carriera costruita con una vita da difensore roccioso, corretto e leale, ma anche con una grande serietà nella vita. Rimase sempre legato al suo mondo, anzi si può dire che di quel calcio d’altri tempi Burgnich sia stato uno degli interpreti più puri, come il suo compagno Giacinto Facchetti, come il suo amico Gigi Riva.

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