L’Atalanta usa le sue armi
C’è Chiesa, ecco Castagne

Probabile rientro del belga: contro il giovane viola ha sempre giocato lui
«Ha talento, personalità e non molla mai. Ma noi stiamo sempre meglio, e ci servono punti».

C’è Federico Chiesa, quindi gioca Tim. Non l’azienda telefonica, ma Timothy Castagne, in passato due volte su due scelto da mister Gasperini come titolare contro la Fiorentina. Sulla fascia destra, ovviamente, per chiudere dalla parte di Chiesa, l’avversario più temuto tra i viola. E in entrambi i precedenti Castagne, 22 anni, primo belga nella storia dell’Atalanta, ha fatto bene la sua parte. «Sì, lo scorso anno ho giocato entrambe le partite – comincia l’esterno nerazzurro –, ricordo i due pareggi (due volte 1-1, ndr) e ricordo buone prestazioni mie e della squadra. Ma non so se giocherò, lo decide il mister».

Certo, ma noi ipotizziamo… Provi a descriverci Chiesa. «Ragazzo giovane di grande personalità, che non ha mai paura di fare quello che non ti aspetti. E questo lo rende molto difficile da marcare. Ma non solo: è anche molto fastidioso».

Cosa significa «è fastidioso»? «L’altra caratteristica positiva di Chiesa è che non molla mai. Io ho visto pochi attaccanti che quando si chiude la loro azione offensiva ti rincorrono come fa lui. Gli altri si fermano, lui invece ti insegue, sempre. Se giochi dalla sua parte già prima di scendere in campo sai che per tutta la gara non ci sarà mai pace…».

Ma Chiesa diventerà una star come ci si aspetta? «Federico è molto giovane, e questo sue caratteristiche lo rendono unico. Io più forte di lui credo di aver affrontato solo lo juventino Douglas Costa. Ma Chiesa non può che migliorare».

A Firenze sarà decisivo fermarlo. «Ne dovremo fermare 14, non uno. E aggiungo che quest’anno ho visto poche squadre giocare bene come la Fiorentina. Il suo livello si è alzato, in organico ha diversi giocatori di valore che possono creare problemi a chiunque e in qualsiasi momento. Dovremo giocare con grande attenzione».

E l’Atalanta invece come sta? «Sul piano fisico non c’è alcun problema...»

...ma lei per questo non fa testo: si dice che abbia la corsa di un maratoneta, con velocità e resistenza. «Diciamo che il mio fisico mi aiuta, ma mi annoio anch’io se c’è da correre e basta. Quando a inizio stagione andiamo nei boschi non mi diverto. Ma quando c’è un pallone in campo, tutto ti pesa meno. Anche correre ha un senso».

E dal punto di vista psicologico, invece, come sta l’Atalanta? «Le ultime due partite ci hanno detto che la squadra si è ritrovata, adesso sul piano dell’atteggiamento ci siamo. Prima forse è stato più complicato del previsto smaltire Copenaghen».

Gira e rigira, siamo di nuovo lì. «Adesso la delusione sta passando. Il tempo ti porta a razionalizzare, sappiamo che conta guardare avanti».

Intanto non si vince da sette partite. E cinque di queste si sono chiuse senza gol all’attivo. «Il momento è particolare, ma vediamo spiragli. In attacco c’è bisogno di tempo perché nel gruppo ci sono giocatori nuovi che stanno assimilando il calcio del mister: Zapata, Rigoni e Pasalic sono appena arrivati e questo con Gasperini conta. E Ilicic è mancato a lungo».

Ma questo Atalanta è meglio o peggio della precedente? «In attacco io penso che sia più forte, anche solo per le maggiori possibilità di scelta. Ma sarà il tempo a dirlo, adesso dobbiamo pensare a una partita alla volta».

Si dice sempre così. Ma adesso ci sono due scontri diretti prima della prossima sosta. Lei firmerebbe due pareggi? «Oggi nel calcio conta vincere... e mi pare chiaro che ora la squadra sta crescendo dopo le difficoltà d’inizio settembre».

Lei aveva già giocato i preliminari di Europa League. «Sì, due anni fa, con il Genk, la mia società d’origine. Tre turni di preliminari, altre sei partite ai gironi, poi 6 gare a eliminazione diretta. Siamo usciti ai quarti con il Celta Vigo. È stata un’esperienza meravigliosa».

L’Atalanta ci potrà tornare? «Adesso conta la Fiorentina, a fine andata ci guarderemo intorno. C’è la salvezza da raggiungere il prima possibile, poi vediamo. Qui si ragiona così, mi sembra giusto».

Lei ha giocato a destra e a sinistra, di solito occupandosi delle punte esterne ma col Milan andando ad attaccare i terzini rivali. Lei cosa preferisce fare? «Il mister ormai conosce bene le mie caratteristiche e sa cosa posso dare nelle varie posizioni. Io per indole amo andare in avanti, per questo mi piace la filosofia del pressing alto e ripartire che noi dobbiamo proporre. A San Siro non abbiamo fatto tutto con la giusta aggressività, ma quella è una soluzione in più. Decide il mister, a seconda delle varie situazioni».

Intanto continua il suo dualismo con Hateboer. «Normale, e penso anche utile. Essere in due nello stesso ruolo è stimolante, capisci in fretta che se non lavori al massimo non hai spazio. Quindi si va a mille, poi l’allenatore sceglie. La cosa più sbagliata sarebbe sentirsi titolari: qui tutti dobbiamo dimostrare ogni giorno di meritare spazio».

Intanto il c.t. Martinez l’ha convocata in Nazionale. «Vestire la maglia del Belgio è un onore, nel mio ruolo c’è Meunier del Psg che è più forte e più maturo di me. Ma il ct mi ha chiamato e a Glasgow (Scozia-Belgio 0-4) mi ha detto: «Tim, hai lavorato molto bene, oggi giochi tu». Ero felicissimo, alla fine il ct mi ha detto di essere soddisfatto. Spero di avere altre chance».

Quindi alla prossima sosta sfiderà la Svizzera di Freuler e l’Olanda di Hateboer e de Roon? «Incredibile... Spero di essere convocato e non so se giocherò, ma l’idea di affrontare con la Nazionale i miei amici e compagni di ogni giorno è emozionante...».

Certo, perché lei è nel gruppo dei nordeuropei... «Ci frequentiamo anche fuori dal calcio, con le famiglie. C’è anche Gosens. Bergamo è una città splendida, non c’è traffico e la gente ti accoglie sempre con grande rispetto. Mi piace stare qui, sono un privilegiato. Ma adesso testa alla Fiorentina. Noi con le squadre che fanno calcio e non barricate come il Torino ci troviamo molto meglio...».

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