Parla l’ex capitano del Bologna
«L’Atalanta è l’avversaria più scomoda»

«A parlare del Bologna faccio fatica», e a capitan Eraldo Pecci, tipico rappresentante del calcio delle figurine anni Settanta-Ottanta, vengono in mente Perani (da Ponte Nossa), Bulgarelli, Nielsen, Haller, Pascutti, i cinque della linea d’attacco campioni d’Italia 1963/64. Tutti prematuramente scomparsi, uno dopo l’altro.

Lui – oggi 63 anni – andava ancora a scuola a Cattolica, permissiva terra di confine che consente alla cadenza romagnola contaminazioni di dialetto marchigiano. Meno di cento chilometri di via Emilia, che a Rimini si tramuta in Flaminia, pieni di quel Bologna «che tremare il mondo fa». Bruno Pesaola, nel 1973, l’avrebbe fatto esordire – centrocampista dai piedi buoni col numero otto sulle spalle – in rossoblù. Due campionati, una Coppa Italia. Poi 154 partite col Torino e uno scudetto. E a Firenze (altre 134 gare) e a Napoli (24), prima del grande ritorno a Bologna, tre anni con la fascia al braccio. Senza contare l’onore della maglia azzurra (sei presenze, quattro vittorie, una sola sconfitta col Brasile). Non tanti gol, diciamo due o tre a stagione, ma sempre col sale in zucca. Be’, insomma, si può capire che Pecci – adesso commentatore fisso su Rai 1 per la Domenica sportiva, dopo gli inizi, tanti anni fa, come supporto tecnico di Bruno Pizzul al seguito della Nazionale – non s’entusiasmi granché pensando ai suoi successori attuali Svanberg, Falcinelli e Santander, in procinto di sfidare l’Atalanta (domenica, ore 18).

Però, signor Pecci, l’ultima partita, col Sassuolo, il Bologna l’ha giocata bene.

«Me lo dice lei. Per me è inguardabile. In televisione mi chiedono delle squadre più importanti. E il Bologna purtroppo da tanto tempo non lo è più. Ogni tanto l’Atalanta, per esempio, fa vedere qualcosa d’interessante, la Fiorentina pure, ma il Bologna...».

Sicché il suo vecchio Bologna non lo vede neanche più?

«Quasi mai. Vedo le immagini. Parliamo pure della gara col Sassuolo. Lei l’ha vista la partita?»

Sì. E le confermo che il Bologna, dopo cinque minuti, poteva essere sul 2-0 a favore.

«Giusto. Ma, dopo il gol lampo e la traversa, come mai, nella ripartenza, due del Sassuolo si sono trovati soli davanti al portiere? Vuol dire che c’è qualcosa che non va».

Neanche il risultato – un bel 2-2 fuori casa – la induce all’ottimismo?

«La prossima, contro l’Atalanta, sulla carta non c’è partita. In questo momento è l’avversario più scomodo che ci sia. Ti sembra che stai rialzando la testa e trovi una squadra sicuramente di maggiore qualità e anch’essa in ripresa. Quelli sono pure capaci di fartene tre o quattro. A meno che quest’ultima prestazione dei rossoblù giudicata favorevolmente non abbia aggiunto almeno un po’ d’autostima».

Non c’è partita, addirittura? In classifica, le due squadre sono distanti solo tre punti.

«A me risulta che, nell’ambiente, questa gara sia temuta. Ormai i bolognesi vivono la propria squadra col timore che il pericolo stia perennemente dietro l’angolo. Inoltre da due o tre anni l’Atalanta al Dall’Ara fa vedere ai tifosi i sorci verdi. Eppure mi ricordo quando giocavo io e l’Atalanta stava una categoria sotto al Bologna. Oggi il rapporto di forze va capovolto. Ilicic e Gomez il Bologna se li sogna».

Se lo ricorda lo stadio di Bergamo?

«Come no, sia col Bologna che soprattutto col Torino si tornava sempre a casa con i vetri del pullman rotti».

Ma l’Atalanta quest’anno ha avuto un avvio complicato.

«Anche le stagioni precedenti, con Gasperini, se non sbaglio. Gasp è la classica eccezione che conferma la regola. Secondo me, gli allenatori contano tantissimo con i bambini e poco più di zero con le prime squadre. Il tecnico attuale dell’Atalanta, se ne ha quattro o cinque buoni, riesce a darsi un assetto valido anche se gli vendono mezza squadra. Prima ho citato Gomez e Ilicic, potrei aggiungere Masiello, de Roon, Freuler».

A proposito d’allenatori, fra Donadoni e Inzaghi dove sta la differenza?

«Io abito a Riccione, ma Bologna la frequento ancora molto. In città, erano tutti contro Donadoni. Strano perché il pubblico rossoblù è sempre stato paziente e sportivo. Adesso pure i bolognesi sono diventati giustizialisti».

Come mai quest’ostracismo verso Donadoni?

«Donadoni s’era stufato delle critiche e pare che una volta abbia detto che, se ai tifosi non piaceva il gioco del Bologna, andassero a vedere il Real Madrid. La gente non ha gradito, ma era una battuta, neanche troppo nuova. Donadoni fa una battuta ogni sei mesi, quando ci prova bisogna sorridere, non arrabbiarsi».

E Inzaghi?

«Se mandi via il nemico, qualche credito lo accumuli. Per ora siamo ancora in luna di miele. Resta il fatto che è il legno che fa il mobile».

Insomma, lei ribadisce che la squadra è scarsa.

«Gli unici due di buon livello tecnico sono Palacio e Orsolini. Palacio per il Bologna conta quanto Ilicic e Gomez per l’Atalanta, ma, a differenza di questi ultimi, predica nel deserto. Il valore degli altri è medio basso».

Poli compreso?

«Quando penso alla Juventus, non penso a quella di Furino ma a quella di Platini. Poli è un muratore, ma se ne trovano tanti».

Santander, con quella fisicità, non è in grado di accendere l’attacco?

«È stato accolto con grande scetticismo. Ora si è fatto qualche tifoso».

Senta, Pecci, molti sportivi vorrebbero tornare al calcio dei suoi tempi. Lei, che è rimasto nell’ambiente, come vive la serie A a mezzogiorno e di lunedì?

«Nello stesso modo dei cambiamenti del mondo. Io sto parlando con lei al cellulare in autostrada dalle parti di Verona, mentre guido sotto la pioggia e non si vede niente. Comunque la si pensi, va preso atto dell’attualità. A cambiare il calcio sono stati i procuratori da una parte e il business dall’altra. E sono questi due fattori l’attualità».

E lei che ci fa a Verona, nella bufera?

«Da Milano a Riccione via Ferrara. Sa, a Ferrara possiedo un immobile, devo vedere un po’ che cosa farne...».

Bando alla nostalgia. Finito il calcio delle figurine, restano – per chi ha saputo investire i guadagni, lauti già allora – le case...

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