Balotta: «Si rischia la zona arancione»
I dati peggiorano, attenzione alle varianti

L’intervista Claudia Balotta, alla guida del team che ha isolato il ceppo italiano del virus un anno fa, auspica misure di contenimento più restrittive

Bergamo e la Lombardia di nuovo in zona arancione? Per Claudia Balotta, l’immunologa alla guida del team dell’Ospedale Sacco di Milano che un anno fa ha isolato il ceppo italiano del Coronavirus, è solo una questione di tempo. I dati peggiorano e le varianti stanno guadagnando terreno. Facile, dunque, prevedere nuove restrizioni, forse già a partire dalla prossima settimana, intanto però serve andare avanti spediti con i vaccini.

Professoressa Balotta, la Regione Lombardia ha parlato di aumentare i tamponi e di allungare la quarantena per arginare il diffondersi delle varianti. Crede siano misure efficaci?

«È un invito a una maggiore precauzione. Lo screening della popolazione e le misure di quarantena sono fondamentali; questo virus non è più “cattivo” degli altri. Anche la variante brasiliana, che ha seminato moltissime vittime, probabilmente non si comporta in modo diverso dalle altre. È solo che in Amazzonia ha trovato una situazione problematica dal punto di vista delle strutture sanitarie».

Sembra però che i vaccini siano meno efficaci.

«Questo purtroppo è il vero problema ed è la ragione per cui dobbiamo accelerare, per quanto possibile, la vaccinazione di massa, a partire dalle categorie più a rischio, vale dire gli anziani, gli insegnanti e tutte le persone che lavorano a stretto contatto con il pubblico. Nel contempo, guardando i risultati della campagna vaccinale, che sono certa dimostreranno quanto i vaccini sono efficaci per combattere il virus, mi auguro che emerga una forma di convincimento anche da parte di chi è ancora piuttosto riottoso a farsi vaccinare».

Le forme di prevenzione (il distanziamento, l’uso della mascherina, e il lavaggio delle mani) possono perdere la loro efficacia con una variante più contagiosa?

«No, e non abbiamo ragione di pensare che servano due mascherine piuttosto che una, perché né il virus, né le sue varianti bucano le mascherine. Quelle chirurgiche sono sufficienti, forse mi fiderei meno di quelle di tela, anche perché le maneggiamo con meno cautela. Probabilmente andavano bene in estate, quando l’Rt era basso. Oggi consiglio a tutti una mascherina chirurgica, senza la necessità di indossare le Ffp2, che sono riservate al personale sanitario esposto all’aerosol del virus».

Perché anche chi si vaccina non può togliere la mascherina?

«Se un vaccinato viene a contatto con il virus non sviluppa la malattia, ma è probabile che per un certo periodo ne diventi un portatore e ciò vuol dire che ha la possibilità di trasferire l’infezione a chi non ha fatto ancora il vaccino».

Secondo il ministero della Salute la variante inglese diventerà presto prevalente anche in Italia.

«Credo anch’io: questo virus ha una sola volontà, che non è quella di ucciderci, ma di riprodursi e ha trovato il modo di farlo più rapidamente, prendendo il sopravvento sulle altre popolazioni virali».

Questo cosa vuol dire?

«Significa che dovremo correre nel fare i vaccini, mettendo in atto tutte le misure restrittive per la circolazione del virus: più è bassa la sua diffusione mentre è in atto una campagna vaccinale, tanto più si può agire in sicurezza».

Sì, però intanto le varianti corrono e fino a domenica si parlava addirittura di riaprire le piste da sci. Non sarebbe stata una contraddizione?

«Eh sì. D’altronde l’istituzione delle zone gialle ha prodotto l’aumento dell’Rt, il virus circola e le varianti guadagnano terreno. Purtroppo l’insegnamento di Germania e Israele è che mentre si vaccina bisognerebbe mantenere tutte le limitazioni che abbiamo già sperimentato».

Torneremo dunque in zona arancione o rossa?

«In rossa forse no, ma in arancione sì, e io me lo auguro, anche se questo comporterà dei danni. Capisco che i giovani siano diventati insofferenti, e l’economia sia in grave difficoltà, però in Umbria sono stati costretti a chiudere le scuole».

Lei le chiuderebbe di nuovo anche in Lombardia?

«Gli ultimi grandi focolai in provincia di Milano sono partiti da scuole materne e primarie. Purtroppo l’infezione è spesso nei piccoli, che la sviluppano in maniera asintomatica, ma il problema è che vivono con i genitori e a volte anche con i nonni».

Non poter vaccinare i ragazzi non è anche questa una contraddizione?

«Sì, però con la copertura della popolazione adulta, potremo raggiungere la famosa immunità di gregge, che per questo virus è intorno al 70% e poi successivamente si potrà pensare ai giovani. Ora devono essere messe in sicurezza le persone con età e ruoli a rischio».

In queste ultime settimane c’è una crescita di casi asintomatici e paucisintomatici più consistente rispetto al passato. Ciò vuol dire che il virus è meno aggressivo?

«No, facciamo certamente più tamponi e quindi riusciamo a intercettare un numero di persone più elevato. In primavera potevamo tamponare solo i casi gravi e non avevamo l’esatta misura di ciò che c’era sotto la cenere. La malattia è la stessa e anche le varianti non causano decorsi clinici diversi. In linea generale nei bambini, nei giovani adulti e negli adulti senza altre patologie, l’infezione può essere superata abbastanza brillantemente, ma nell’anziano o nelle persone fragili non è così e il numero dei decessi giornalieri lo dimostra».

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