Bosatelli: «Voglio regalare a Bergamo
un modello per vivere bene»

«Chorus Life», l’avveniristica cittadella in costruzione nell’ex area Ote, verrà inaugurata nel settembre del prossimo anno. Domenico Bosatelli, promotore dell’iniziativa, spiega la filosofia del progetto. «Siamo come nell’Aprile del ’45: la gioia di vivere tornerà a riesplodere presto».

Ci sono sette gru che svettano nel cielo e ai loro piedi brulicano più di cento operai indaffarati, in mezzo a un via-vai di sessanta betoniere al giorno che versano calcestruzzo in continuazione. Ma a dieci metri di altezza, appoggiato alla balaustra della piccola terrazza sul tetto della palazzina di rappresentanza allestita in cantiere, con l’immancabile sigaretta in bocca, Domenico Bosatelli sta guardando tutto un altro film, perché questo l’ha già visto tre anni fa, «srotolando» i progetti sul tavolo del suo ufficio. E anche quelli li avevi già «disegnati», nella sua testa, molto tempo prima. Quello che «il Signor Gewiss» vede da quel piccolo osservatorio privilegiato su un’area di oltre 70 mila metri quadrati non è il «Chorus Life» di Bergamo (un investimento complessivo che supera i 300 milioni di euro), ma lo spirito e l’essenza di quel progetto, che presto verrà replicato in altre cinque realtà del nostro Paese, anche sul mare, in Liguria, e che avrà a Milano il suo «avamposto» più sviluppato. Per ora si parla di cinque «location», ma l’idea, che sembra aver raccolto più di una richiesta, punta a replicare il modello duecento volte, cento in riva al mare, con un porto turistico a disposizione, e cento all’interno, con un’arena multifunzionale al posto delle barche. Curve architettoniche futuristiche e concetti futuribili, ma, stando al cronoprogramma, questa «cittadella del futuro» a due chilometri dal centro di Bergamo, incastonata nel quartiere di Borgo Santa Caterina, nell’ex area Ote totalmente bonificata, dovrebbe essere realtà già entro la fine dell’estate del prossimo anno, con tanto di inaugurazione fissata per il 24 settembre.

Presidente, cos’è davvero «Chorus Life»?

«“Chorus Life” è un modello di città per il terzo millennio dove le tre generazioni possono vivere, socializzare e crescere insieme, condividendo lo stesso spazio. È una coralità intesa come insieme di servizi ma soprattutto come insieme sociale, per favorire l’integrazione fra gli individui, nel rispetto dell’ambiente, attraverso una stretta integrazione tra le funzioni e la moltiplicazione delle occasioni di incontro e socializzazione. Un progetto che nasce a Bergamo ma che guarda a tutte le città europee come modello per rivitalizzare le periferie senza consumo di suolo. Le nuove tecnologie per la gestione intelligente degli spazi pubblici, unite ad una progettazione che elimina ogni barriera architettonica, consentono la massima serenità e tranquillità di vita».

Per Bergamo sarà un fiore all’occhiello. Cosa le ha detto il sindaco?
«Con Giorgio Gori e con l’assessore Francesco Valesini abbiamo subito instaurato un dialogo molto positivo, proprio perché l’amministrazione aveva colto fin da subito la valenza dell’iniziativa. In tutta onestà, devo dire che il sindaco è stato bravo ad agire in nome dell’interesse pubblico: mi ha chiesto un occhio ed io gliel’ho dato volentieri, perché amo la mia città».

Da dove nasce l’idea?

«Nasce da lontano, dalla Gewiss degli anni ‘70, quando, subito dopo l’avvento della plastica, capimmo che proprio la plastica sarebbe stata l’elemento fondamentale dei nuovi impianti elettrici civili. Da allora abbiamo sviluppato 25 mila componenti degli impianti elettrici ad uso civile, tanto che oggi possiamo dire che quei tipi di impianti in circolazione sono composti per l’80% da prodotti Gewiss o clonati da noi. Con il passare degli anni, abbiamo sviluppato la domotica, andando poi oltre, chiedendoci come sarebbe stata l’impiantistica del post domotica. E la risposta è stata: sarà un’impiantistica digitale. Così, in accordo con Siemens e Microsoft, che lo considera tra i cinque progetti più interessanti al mondo, abbiamo studiato la prima piattaforma “Gsm – Global System Model”, un modello di sistema globale interamente digitale. Si trattava di fare una prima applicazione su un modello polivalente che racchiudesse tutte le problematiche presenti sul tappeto, legate al residenziale, al terziario, all’industriale, al mondo dello sport e del benessere, nella sua accezione più completa. Ci siamo soffermati sulla prospettiva dell’abitare e abbiamo capito che il futuro “habitat” deve essere un luogo capace di soddisfare non più solamente l’alimentazione, il riposo e il relax, ma anche le esigenze legate al mondo del lavoro, della salute, della sanità, della cura del corpo, con una convivenza trigenerazionale: genitori, figli, nipoti. Dal punto di vista dell’investimento, un habitat del genere sarebbe accessibile solo a pochi, così abbiamo pensato di fare noi una struttura globale che soddisfi tutte queste esigenze».

In poche parole, avete ridefinito il concetto di casa e dell’abitare. Come saranno questi spazi?

«La carta vincente è aver capito in anticipo dove sarebbe andato il trend dello sviluppo abitativo: abbiamo sostituito il concetto degli spazi in metri quadrati con quelli dei servizi a disposizione. Gli ottanta alloggi saranno tutti in affitto, con un canone unico per tutti i servizi integrati: non più locazione, bollette, condominio, rifiuti, riparazioni o commissioni varie, ma un’offerta integrata e scalabile che comprende anche consumi, connessione internet, pulizie, manutenzioni e, a scelta, anche tutti i servizi esterni. Gli alloggi saranno completi e arredati all’avanguardia con impianti ed elettrodomestici attivabili e configurabili da un’unica piattaforma digitale. La gestione flessibile dei tempi di affitto consentirà di scegliere per singole settimane, mesi, anni e frazioni di anno».

A quali costi?

«Tutto sommato contenuti, in linea con quelli di mercato, né più né meno, tenendo presente che nei costi sono compresi i 15 adempimenti principali connessi ad avere un’abitazione normale. Senza contare che un Chorus Life come questo dovrà gravitare su un’area con un raggio di 15 chilometri e almeno 300 mila persone che la abitano, per sfruttare appieno tutti i servizi che sarà in grado di dare».

Il tutto grazie alla piattaforma «GSM»?

«Esattamente. GSM è un’iniziativa nata e in fase di incubazione all’interno del gruppo Costim, una holding che, al suo interno, ha tre società controllate e operative (Impresa Percassi, Elmet e Gualini) che coprono in maniera sinergica buona parte della catena del valore di una realizzazione immobiliare. GSM è la piattaforma che integra l’identità digitale degli utenti, i diversi software di gestione e l’infrastruttura IoT. Al centro c’è l’utente e il suo benessere. L’obiettivo è quello di creare un ambiente digitale che il suo sguardo possa percepire in continuità con gli spazi fisici. Per questo, GSM metterà a disposizione dell’utente una serie di funzionalità in un’unica app, dai canali di marketplace fino al parcheggio, dalla fornitura di energia alla carta di credito. Tutto digitale».

Un’impresa non da poco. Quali effetti socioeconomici è in grado di creare?

«La merceologia trainante del futuro sarà quella immobiliare, perché già oggi il mercato immobiliare trascina 31 merceologie delle 36 che muovono l’economia del Paese. Vuol dire che l’investimento immobiliare costituirà il nucleo del futuro boom economico, tenuto conto di questi nuovi habitat e delle necessità di ristrutturazione legate agli immobili obsoleti che oggi popolano tutte le città. Attualmente le tre merceologie leadership del mercato sono l’immobiliare, le auto e il food. Ma le case automobilistiche, complici anche il robusto innesto della robotica e l’avvento dell’elettrico, ridurranno la forza lavoro di una percentuale compresa tra il 30% e il 50%: ormai è un settore maturo. Il food crescerà ancora ma entro certi limiti. Chi farà esplodere il mercato sarà il settore immobiliare».

Quanti ostacoli ha dovuto superare?

«Tanti, uno più grosso dell’altro, ma la gioia del successo deriva sempre dal piacere e dalla sofferenza. Sono operazioni, queste, che si riescono a fare solo se sono affrontate con una passione vera. A me piace fare quello che mi passa per la testa, ma oggi devo anche dire che sono sostenuto da collaboratori eccezionali, più convinti di me: è una gran bella avventura».

E in tutto questo il Covid non ha messo lo zampino?

«Sì, ma in termini positivi, nel senso che ha dato una forte accelerazione all’idea, portandola molto rapidamente dal consenso alla necessità».

Dunque il Covid è stato anche un’opportunità?

«Io sono un esagerato ottimista. Essendo uno degli ultimi testimoni del 25 Aprile 1945, quando i sopravvissuti si sono trovati liberi dalla monarchia e dalla dittatura, liberi di agire, e sono esplosi in mille iniziative. La clausura di un anno e mezzo imposta dal Covid ci ha fatto meditare, perché è angoscioso pensare a chi ci ha lasciato e in quali condizioni, ma sono sicuro che presto nascerà una leadership sociale che darà vita ad un altro modo di vivere e anche di volersi bene. Nel 1945, giravamo con gli zoccoli, si stava al freddo, non si mangiava nulla, informazioni non ce n’erano, eravamo totalmente isolati. In proporzione, il Covid è meno pesante di quel periodo della storia d’Italia. Oggi la scienza ha permesso di realizzare in meno di un anno quattro o cinque vaccini che presto ci porteranno fuori dal tunnel, mentre la tecnologia ha consentito di organizzare la produzione dei farmaci e la loro distribuzione mettendo a punto un capolavoro tecnologico e organizzativo. La luce in fondo al tunnel la intravediamo e, una volta usciti, la gioia di vivere tornerà ad esplodere. Non dimentichiamoci che, dati di Banca d’Italia alla mano, durante questa lunga clausura c’è stato un grande risparmio finanziario che dovrà poi necessariamente essere sfogato».

Saremo più saggi?

«Questo non lo so, dico però che ci vorremo più bene, ci lamenteremo di meno, a parte gli inguaribili eterni scontenti, e apprezzeremo molto di più la vita».

L’Italia ce la farà?

«Come in passato, l’esempio classico è il 1945 e il boom degli Anni ‘50. Siamo animali da branco e avremo bisogno di leader. In giro non ce n’è molti, ma ne bastano pochi. Noi cavalieri del lavoro, ad esempio, siamo tutti pronti a partire. Comunque, avendo frequentato per 26 anni Banca d’Italia, ho visto come lavora Draghi: è un profondo conoscitore del mondo finanziario, sociale e politico. E poi è un uomo di pianificazione, un grande decisionista, che ha decisamente sotto controllo la situazione».

Probabilmente non starà lì a lungo. Come sarà il dopo Draghi?

«Dipenderà dalla cultura del popolo, da chi sarà in grado di eleggere. Smettiamo di lamentarci dei politici, pensiamo a chi li elegge. Il nostro problema è quello di elevare la cultura di massa in modo che i cittadini sappiano fare delle scelte con cognizione di causa. Non si può eleggere un politico senza conoscerne i valori, ma solo per le promesse che fa. I politici sono determinanti per la società, tuttavia, come è avvenuto per Draghi, quando ne scelgono uno di zucchero, è amaro anche quello. Sono ricchi di idee, ma non tutti si pongono il problema della sostenibilità, a differenza di Draghi, che invece lo conosce bene».

Continua a essere ottimista?

«Sì certo, sono un inguaribile ottimista. Viviamo la vita di una farfalla: se pensassimo tutti i giorni alla morte, sapremmo che ogni giornata va sfruttata fino in fondo. Credo di essere ancora un ottimo apprendista: il piacere della vita è apprendere, ma più apprendi e più ti senti ignorante… Mi perdoni… alla mia età non mi restano che ironia e metafore. Ma questa è tutta un’altra storia».

E i giovani?

«Smettiamola di dire che sono incapaci: non è vero, hanno un talento eccezionale. Il loro problema non sono le capacità, quelle ne hanno da vendere. Più che di stimoli, i giovani hanno bisogno di esempi, e di buoni esempi, purtroppo, oggi non ce ne sono abbastanza».

Un’ultima cosa: quale sarà la prossima idea che le passa per la testa?

«Mi deve dare il tempo di pensarla».

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