Emergenza Covid: «Entro marzo contagi quasi azzerati»

Carlo La Vecchia, docente di Statistica: in Lombardia i nuovi casi da 23.500 a 5 mila in tre settimane. «Oltre metà della popolazione ha contratto il Sars-Cov2, ma dal punto di vista individuale cautela fino a primavera».

Marzo, il mese in cui si apre la stagione della primavera. È questo l’orizzonte d’uscita dall’emergenza, a poco più di due anni da quando tutto è cominciato. La strada la indica la costellazione dei numeri, bussola imprescindibile nella notte pandemica. Il professor Carlo La Vecchia, ordinario di Statistica medica all’Università degli Studi di Milano e profondo conoscitore del virus, osserva un trend di discesa che «soprattutto in Lombardia è molto forte». Sul medio-lungo periodo certo si continuerà a vivere col virus, ma con una convinzione ora discretamente solida: la convivenza sarà decisamente meno problematica.

Professor La Vecchia, cosa ci dicono i numeri?

«Il trend di discesa soprattutto in Lombardia è molto forte. Nell’ultima settimana la riduzione dei nuovi casi è stata attorno al 35%. Negli ultimi giorni la Lombardia è stata attorno ai 5mila casi, tre settimane fa era a 23.500 e prima ancora aveva raggiunto un picco di 50mila casi giornalieri. Anche Bergamo è scesa molto».

E gli ospedali che situazione vivono?

«I ricoverati nelle Terapie intensive si sono dimezzati, e anche nei reparti ordinari la contrazione è stata importante. Anche la media dei decessi si è ora sostanzialmente dimezzata. Andando avanti così, a marzo la situazione sarà senza dubbio tranquilla sul piano dei servizi sanitari: l’ondata che abbiamo visto, che soprattutto nei reparti ordinari aveva raggiunto tassi del 30% di occupazione, sarà in fase di esaurimento e si arriverà a numeri molto piccoli. Già ora i tassi di occupazione sono lontani dalle soglie della zona gialla».

Non ci saranno rimbalzi? Quando usciremo dall’emergenza?

«Penso che dal punto di vista del carico sugli ospedali questo trend continuerà senza contraccolpi e per fine marzo, massimo a Pasqua, si avranno numeri davvero piccoli. È possibile però che i contagi si livellino, a un certo punto: cioè non scenderanno più di tanto».

Cosa potrebbe succedere, nel concreto?

«In Danimarca ha preso piede una sub-variante di Omicron e la diminuzione dei nuovi casi si è interrotta. Però questa situazione non ha portato a carichi particolari sui servizi sanitari, e questo è importante. Omicron non genera malattia grave se non in persone già compromesse, con comorbilità forti. Su questo fronte direi che c’è ottimismo».

Se mettiamo insieme i vaccinati e i guariti, abbiamo un’immunità tale da tornare a una «quasi normalità»?

«Il 90% della popolazione è vaccinata, e sostanzialmente tutti abbiamo avuto un contatto col virus: si può stimare che più della metà della popolazione abbia contratto Omicron. C’è però ancora un messaggio da dare: il virus circola ancora molto, il tasso di positività è attorno al 7,5% e questo vuol dire che il 3-4% della popolazione lombarda è al momento positiva. Da un punto di vista individuale, conviene rimanere ancora cauti sino alla metà di marzo».

Con gli ospedali che si svuotano, si potrà recuperare tutta quell’altra sfera di prestazioni sanitarie interrotte a causa del Covid?

«Questi due anni si sono vissuti tra alti e bassi. Nella primavera 2020 gli ospedali si sono dedicati interamente al Covid, poi c’è stato un breve intervallo, quindi una fase di grande e lungo carico da ottobre 2020 a maggio 2021, infine la “liberazione” estiva e il nuovo carico degli ultimissimi mesi. Ma va detto che in quest’ondata in Italia abbiamo avuto al massimo 20mila ricoverati, quasi la metà del picco di 34mila ricoverati del novembre 2020. E questo è stato grazie alla vaccinazione. Anche la minor aggressività di Omicron ha avuto un peso: se avesse portato anche solo al 30% dei ricoveri che “produceva” la variante precedente, avremmo riempito gli ospedali».

Qual è il futuro del virus?

«Che questo coronavirus vada via, è impossibile. D’altra parte, ci sono già altri quattro coronavirus presenti da centinaia di anni: anche questo resterà. Gli altri coronavirus precedenti si sono però evoluti verso malattie respiratorie delle vie superiori, come raffreddori e sindromi influenzali».

E se arrivassero nuove varianti?

«È molto improbabile che si sviluppi una variabile molto più contagiosa di Omicron. Omicron ha già un R0 (R con zero, l’indice di riproduzione del virus in assenza di misure di contenimento, ndr) superiore a 12, cioè vicino ai livelli del morbillo: se un bimbo ha il virus, contagia tutta la classe. Avere una variante del tutto nuova, più contagiosa e più grave, è difficile almeno nell’immediato futuro. Al di là della primavera-estate che porterà a un’attenuazione della circolazione, anche il prossimo autunno dovrebbe essere molto più tranquillo dei precedenti».

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