Freccia Orobica, si parte: «Accolti durante il Covid e adesso li aiutiamo noi»

IL VIAGGIO . Ripreso il treno con la Riviera, con oltre 200 bergamaschi a bordo.Tanta voglia di vacanze, ma anche di ricambiare la solidarietà ricevuta.

Al binario 3 c’è il Frecciarossa per Roma, bello lucido. Al 2 la freccia vera, quella per la Romagna. D’accordo, il capolinea è Pesaro, quindi Marche, ma è il florilegio di fermate da Cervia in giù a fare la differenza. E anche la storia di generazioni di bergamaschi: figli diventati genitori che ora accompagnano mamme e papà molto nella parte dei nonni con al seguito trolley da sbarco e nipotini caricati a molla. La Freccia Orobica è uno stile di vita, bergamasca come i fuochi di Santa Caterina o l’Atalanta, un baluardo di resistenza umana in un mondo low cost. Dove comunque certi bagagli dalle dimensioni inquietanti costerebbero più del biglietto del passeggero, così a occhio.

Si riparte, ore 7,27 da Bergamo, la domenica come da tradizione. In fin dei conti la vita è sì un viaggio, ma anche una questione di prospettive: ci si muove su un Vivalto che il pendolare medio vorrebbe prendere a martellate a giorni alterni e invece il vacanziere tipo riesce a sottolineare con entusiasmo che «c’è anche il secondo piano». In un mondo low, la Freccia è un ossimoro all’insegna dello slow: lenta, sempre uguale a sé stessa ma alla fine rassicurante. Stessa spiaggia e stesso mare, insomma. E pure stesso treno. Quello che alle 7,15 arriva dal nulla direttamente al binario 2 dove oltre 150 persone lo attendono con impazienza: bambini con Supersantos in mano che già si vedono in spiaggia in interminabili finali di Champions, ragazzini con zaini essenziali e ben altri programmi, famiglie intere con bimbi e passeggini, papà che salutano. E tanti, tantissimi, nonni, che a un certo punto cacciano letteralmente giù dal treno i figli con le loro raccomandazioni sempre uguali su cibo-bagni-sole. Tempo 20 secondi ti squadrano e sentenziano che «non la prende spesso la Freccia, vero? Perché sennò una felpina la portava». E dentro in effetti sembra un frigorifero, «ma anni fa senza l’aria condizionata era molto peggio» spiegano nel viavai continuo a caccia di un posto dove infilare le valigie.

La Freccia Orobica è uno stile di vita, bergamasca come i fuochi di Santa Caterina o l’Atalanta, un baluardo di resistenza umana in un mondo low cost.

Lenta ma con tanti vantaggi

Anche il fattore tempo è abbastanza relativo, diversamente non ci si spiegherebbe come a Grumello del Monte, seconda (e ultima) fermata in terra bergamasca, si arrivi già con 4 minuti in ritardo, recita l’app. Qualcosa che ti fa sentire come il Marty McFly di «Ritorno al futuro» in un viaggio dove il biglietto è per i più ancora rigorosamente cartaceo ed esibito con una certa qual fierezza «perché sul cellulare non si sa mai»,

A Grumello sale un’altra cinquantina di persone e da qui in avanti ci si limita ad ascoltare, fare domande non serve, il chiacchiericcio è continuo. E così si capisce che in un mondo che corre sempre più veloce la Freccia ha indubbi vantaggi: in primis costa poco perché con meno di 30 euro arrivi a Rimini «mentre mia nuora ne ha pagati 80 via Milano» si ode qualche fila più in là. «E il traffico… Questa è lenta ma si arriva». Altro che mobility manager. E poi, anzi prima, c’è il desiderio di esserci, quello che in attesa del treno ci viene sintetizzata in poche e semplici parole da una coppia di (ormai) nonni habitué di Rivazzurra: «Tre estati fa ci hanno accolto e aspettato nel dramma del Covid, ora tocca a noi dare una mano». Punto. Hanno tutti una pensioncina o un albergo che (da anni e anni) li aspetta «e dove ci hanno detto che è tutto come prima», fritto misto e dolce compreso. E che non basta il fango a fermare la voglia di vivere della gente di Romagna. Passata Brescia, dove sale un’altra vagonata di gente, cala il silenzio e «magari un sonnellino ce lo facciamo».

La Riviera è già ripartita

Fino al mantovano non si sente volare una mosca, quanto di più distante dall’ostentazione da businessman da Freccia mentre fuori cominciano a scivolare chilometri di campagna, passaggi a livello nel nulla e limacciosi canali. Un’infinità. E lo sguardo di tutti va a cercare un segno del disastro, dell’alluvione – «Guarda quel grano, sembra sdraiato, si sarà salvata la frutta?» - mentre il treno muove da Ferrara dopo la canonica sosta di 25 minuti e con i passeggeri scesi a bere il caffè, anche fuori dalla stazione. Decisamente un altro mondo, dove si riparte però in direzione contraria a quella d’arrivo: «Si vede che il mare è dall’altra parte» sentenzia una biondissima bimba dall’inusuale saggezza.

E il mare arriva, ma non dietro una curva e improvvisamente come canta Fossati per Genova, l’Adriatico si può solo intuire dietro la pineta, i campeggi e le strade che sembrano assomigliarsi tutte. Nel ravennate i danni dell’alluvione si vedono soprattutto nei campi ricoperti da una coltre di fango che pare cemento. A Cesenatico è tutto ripartito, come e meglio di prima: «A noi non ci ferma manco l’atomica» ci raccontano da Rina, un’istituzione più che una piadineria. «Dopo pochi giorni la spiaggia era già pronta».

E così a Cervia, Gatteo e lungo tutta la Romagna giù giù oltre Rimini e Riccione: una distesa sconfinata di ombrelloni e sdraio già presa d’assalto. In fin dei conti in quanto a tenacia i romagnoli sono dei bergamaschi con in più il mare, non proprio turchese ma non pare un problema: «Qui ci si bagna i piedi, per fare il bagno bisogna scegliere altre mete. Ma questo succede dal 1965». Parole e musica del Bagno Sabbia d’oro di Lido Adriano. Difficile aggiungere altro.

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