Guarita con ossigeno e tanto amore
La storia di Vanna e della nipote infermiera

Sono stati i figli a prendersi cura dell’86enne. A guidarli Deborah, dopo il turno alla Rsa Don Orione. «Era grave, poi il calore umano ha fatto la differenza».

Ora che nonna Vanna sta bene, tanto da posare sorridente per una foto ricordo, Deborah Locatelli dice anche in medicina per certi versi l’essenziale può essere invisibile agli occhi: «Con lo stesse cure, ma senza l’affetto dei suoi cari, oggi credo ci guarderebbe dal cielo».

Invece Vanna Bossi, anni 86, da qualche settimana è tornata a ridere affacciandosi dalla finestra di una casa sui monti attorno a Zogno. Si era ammalata di Covid-19 l’8 marzo, quando i figli (quattro) hanno deciso di non ospedalizzarla. Medico di base assente? Calma e gesso. A prendersene cura sarebbero stati loro, a turno, guidati da una nipote speciale: «Faccio l’infermiera al don Orione da tre anni, un minimo di esperienza ce l’ho – racconta Deborah, con la semplicità dei suoi 25 anni –. Aggiungere un turno al mio lavoro quotidiano, è stato l’ultimo dei problemi».

Il triangolo geografico

Seriate (dove vive), Bergamo (dove lavora), la Valle Brembana (dove aveva un pezzo di cuore): durante il lockdown la sua vita è stato un triangolo geografico all’insegna della cura. Pazienti di giorno (quelli della sua Rsa).

Una paziente speciale la sera: «L’impegno che ci si mette in struttura è lo stesso, ma sapere che hai tra le mani la vita di una persona così importante ti fa battere il cuore – commenta la diretta interessata –. Ci sono stati tanti momenti difficili, se li ho superati è grazie anche al mio fidanzato Marco, che è pure un mio collega sul lavoro». Proprio dalla Rsa Don Orione, grazie alla «sua» caposala Paola Signorelli, è stato stilato il piano terapeutico per curare la nonna. Augmentin e qualche precauzione basilare all’inizio. Poi, il 18 marzo, la mattina presto, le è suonato il cellulare: «Era la nonna, che chiamava personalmente tutti e cinque i nipoti, dicendo ansimante che non ce la faceva più – dice con la voce quasi rotta dall’emozione –. Quel giorno in cui si stava spegnendo è stato quello della svolta».

La svolta

Sì, perché, sfidando le leggi della statistica, Deborah è riuscita a reperire dell’ossigeno, tempestando di telefonate le farmacie della Bergamasca. Parallelamente sono delle iniziate delle iniezioni intramuscolari, che in sua assenza erano affidate alle mani dello zio Sergio (l’unico, in famiglia, a aver evitato il contagio).

«Giorno dopo giorno, da lì, è iniziata una lenta e costante ripresa – prosegue Deborah –. Per aiutarla, con gli altri nipoti (cinque in tutto, ndr), abbiamo riorganizzato anche logisticamente casa sua: sono convinta che il calore umano abbia fatto la differenza».

Una scoperta

Di questa storia lei ha scoperto un nuovo lato di se stessa: «Mai avrei pensato di essere così forte, all’inizio avevo paura di aghi e punture, e anche tra i miei parenti non è che godessi di molto credito». E pazienza se, per un pranzo collettivo, ci sarà da attendere ancora qualche settimana: «Di fatto il 90% della famiglia si è ammalato, io credo di essere stata asintomatica – dice in chiusura –. La cosa più importante è che sia tornata la nostra nonna di sempre, che dà forza a tutti». Perchè l’esempio viene dall’alto: e lei ne è la migliore prova possibile.

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