Il cardiologo e i malati di Covid
«Danni anche ad altri organi»

Alberto Cremonesi guida la Cardiologia di Humanitas Gavazzeni: notate miocarditi fulminanti e vasi sanguigni infiammati.

Non solo polmoniti. Nella fase due, quella dedicata alla ripartenza, c’è tempo anche per fare il punto su tutti gli altri sintomi dell’infezione da coronavirus, quelli che – in corsa – si è fatto fatica, almeno nelle primissime ore dell’emergenza, a ricondurre al Covid-19. E fra i sintomi accertati della malattia ci sono anche anomalie riscontrate nel sistema cardiovascolare dei pazienti. A fare chiarezza Alberto Cremonesi, 68 anni, responsabile della Cardiologia di Humanitas Gavazzeni e coordinatore del dipartimento cardiovascolare.

Quali sono i principali danni al sistema cardiovascolare che avete riscontrato nei pazienti covid?

«Diciamo che se le polmoniti sono le prime manifestazioni, quelle più evidenti, del virus, la tempesta infiammatoria provoca in alcuni pazienti anche una lunga serie di danni ad altri organi. Fra gli altri, abbiamo notato miocarditi fulminanti, ovvero infiammazioni del muscolo cardiaco, sindromi ipercoagulative, aritmie importanti e refrattarie ai trattamenti terapeutici, così come vasculiti, cioè infiammazioni dei vasi sanguigni. E abbiamo osservato anche una tendenza anomala, non riscontrata nel periodo pre-Covid, nei casi di infarto miocardico: i pazienti arrivavano in ospedale in maniera estremamente tardiva, anche un giorno e mezzo dopo aver avvertito le prime avvisaglie. A quel punto i danni sul cuore erano però evidenti e spesso irreversibili: l’infarto va infatti aggredito entro 90 minuti dai primi sintomi. C’è poi anche un altro tema, quello del ritorno di disturbi che erano diventati ormai estremamente rari.

Cioè?

«Un esempio su tutti: in alcuni pazienti contagiati abbiamo riscontrato ematomi in diverse parti del corpo, anche nei muscoli dell’addome. Ematomi spia di sanguinamenti negli organi interni, che siamo dovuti andare a chiudere con processi di embolizzazione vascolare. Per dirla semplice, abbiamo usato una sorta di “tappo” vascolare. Ecco, si tratta di situazioni che si verificavano molto raramente prima dell’epidemia».

I danni provocati dall’infiammazione al sistema cardiovascolare possono essere permamenti?

«In tutta onestà, è presto per dirlo. Al momento possiamo fare solo ipotesi, li stiamo studiando in questa fase con un’équipe multidisciplinare composta da diversi specialisti. È invece abbastanza chiaro, e questo lo possiamo dire, che non sempre la sindrome da coronavirus si esaurisce con la fase ospedaliera: chi, per esempio, ha avuto miocarditi importanti dovrà continuare ad essere seguito con controlli e accertamenti, probabilmente almeno per un anno».

Per i giovani il rischio che si tratti di danni permanenti è più contenuto?

«No, affatto. Anzi. Va tenuto conto che, se davvero questi danni sono permanenti, a farne le spese maggiormente saranno i giovani, che dovranno convivere per molto tempo con questi disturbi».

Esiste un protocollo per seguire i pazienti ex Covid anche dal punto di vista cardiologico?

«Lo stiamo mettendo a punto. Sarà certamente un protocollo specifico: si partirà da esami di laboratorio e da un semplice elettrocardiogramma per individuare eventuali danni cardiaci e, dovessero essere riscontrati, si procederà con accertamenti mirati attraverso ecografie, cardiorisonanze, tac».

La fase di chiusura è stata spesso caratterizzata da cattive abitudini alimentari e sedentarietà, fattori che accrescono i rischi per chi soffre di disturbi cardiovascolari. È il momento di riprendere i controlli?

«Sì, bisogna assolutamente tornare a prendersi cura del cuore a 360 gradi. E lo si deve fare con controlli mirati - penso a chi soffre di pressione alta o colesterolo alto, di obesità, di diabete - e con visite ai medici di base e agli specialisti. Abbiamo ripreso anche a fare interventi nei nostri reparti di eccellenza, emodinamica e cardiochirurgia, interventi che erano stati posticipati durante la fase uno».

Dall’inizio dell’emergenza avete curato circa 1.000 pazienti Covid, oggi ne ospitate ancora 15. Come ridurrete il rischio di contagio all’interno dell’ospedale?

«Con una riorganizzazione totale, attualmente in fase avanzata, che ci consente di sdoppiare l’ospedale in due. Una parte, completamente isolata, dedicata al Covid. E l’altra dedicata al resto delle attività. Non c’è commistione di reparti né di personale. Perfino i pronto soccorso sono diversi. A questo, s’aggiungano disposizioni precise come nuove modalità d’accesso e controlli a tutti gli operatori sanitari».

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