Incontro alle onde, quando i genitori
superano il «mare impetuoso» del figlio

Il racconto della malattia e l’iniziativa di mamma Irina e papà Luca con il piccolo Lorenzo, trapiantato col sostegno della «Casa di Leo». Il 13 giugno Luca affronterà la traversata dello Stretto di Messina come gesto di speranza per chi si trova ancora in difficoltà.

Le onde sono nemiche di chi nuota controcorrente: fiaccano i muscoli, spezzano il respiro. Luca Foletti e sua moglie Irina si sono sentiti spesso così nell’ultimo anno, al limite, sul punto di affogare, mentre il loro bimbo era ricoverato all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo in attesa di un trapianto di fegato. A tenerli a galla è stato lui, con il sorriso birichino che gli illumina il viso.

Ora ha diciotto mesi e sul seggiolone non sta fermo un attimo, gioca con cucchiai e forchette mentre i grandi chiacchierano: «È stato così – osserva Irina – anche nei momenti più difficili. Un concentrato di gioia ed energia».

La famiglia Foletti abita a Codogno, in provincia di Lodi. «Per le cure, però – spiega Luca – abbiamo dovuto “emigrare” e lungo la strada abbiamo incontrato persone speciali, come i volontari dell’Amei (Associazione malattie epatiche infantili) a Brescia e quelli di Eos Onlus a Bergamo, che ci hanno ospitato alla Casa di Leo».

Da un moto spontaneo di gratitudine è nato il progetto di solidarietà «Insieme oltre le onde», che il 13 giugno porterà Luca ad affrontare la traversata dello Stretto di Messina: «Vorrei che dalla nostra avventura nascesse un messaggio positivo per altri genitori come noi, perché non si sentano soli e non mollino mai».

Come scrive Alessandro Baricco: «La vita si ascolta così come le onde del mare. Le onde montano, crescono, cambiano le cose. Poi, tutto torna come prima, ma non è più la stessa cosa».

Una storia in salita

La loro storia è incominciata in salita: «Lorenzo – ricorda Luca – è nato con un ittero elevatissimo e un ipotiroidismo congenito. Dopo 60 ore sotto la lampada è stato dimesso. Pensavamo che fosse andato tutto a posto, invece ha incominciato a soffrire di acutissimi mal di pancia». I dolori peggioravano, le crisi diventavano più intense, finché Luca e Irina, dopo l’ennesima visita, hanno deciso di portarlo al Pronto soccorso dell’ospedale di Pavia: «Aveva la bronchiolite e sentivamo la pancia dura. Lo hanno visitato e ricoverato il 14 febbraio. Aveva un citomegalovirus, molto pericoloso per un neonato. Per di più da un’ecografia il fegato è risultato subito ingrossato». Così è incominciato il calvario dei ricoveri in ospedale e del pendolarismo, Irina restava con Lorenzo in ospedale, Luca continuava a lavorare: «Mi occupo di product validation in un reparto prototipi. Mi hanno concesso di fare il primo turno, così potevo iniziare alle 6 e all’ora di pranzo partivo. Sessanta chilometri per andare in ospedale, altrettanti per tornare, con qualunque condizione atmosferica, e nel weekend aspettavo l’ultimo lastminute su internet per trovare un bed and breakfast dove passare la notte». Anche per Irina le notti erano particolarmente difficili: «Mi accoccolavo in un angolo del letto di Lorenzo e dormivo poco, ascoltavo il suo respiro. Non avvertivo mai la pesantezza delle giornate, ero sempre concentrata su di lui, per farlo ridere e giocare».

L’aiuto di Bergamo

Esami più approfonditi hanno rivelato che il bimbo aveva un’atresia biliare: «Dopo un mese ci hanno mandato a Brescia, centro specializzato per le malattie epatiche pediatriche. Abbiamo scoperto così che l’atresia può essere trattata nei primi sessanta giorni di vita, ma lui ne aveva ormai 110, perciò l’unica soluzione era il trapianto e ci hanno indirizzato a Bergamo». Fondamentale il sostegno dell’Amei: «Eravamo disorientati, non sapevamo niente di questa patologia, i volontari ci hanno aiutato a capire. Una sera in cui fuori soffiava un vento gelido e il cielo annunciava una forte nevicata ci siamo chiusi in una stanza e abbiamo deciso che avremmo fatto qualunque cosa per Lorenzo e non avremmo mai abbassato la testa. Abbiamo accettato la situazione, consapevoli dei limiti e dei rischi, e siamo andati avanti».

A Bergamo Lorenzo è stato sottoposto a terapie volte a farlo arrivare al trapianto nelle migliori condizioni possibili. «Lo hanno messo in lista e noi aspettavamo con un po’ d’angoscia, perché sapevamo che la donazione avrebbe comportato la morte di un altro bimbo della stessa età del nostro». Un’assistente sociale gli ha indicato la Casa di Leo, punto d’accoglienza per famiglie con bambini lungodegenti: «È stato un aiuto prezioso, perché eravamo allo stremo delle forze, dal punto di vista psicologico ma anche economico. Siamo una famiglia normale, ma mia moglie con la gravidanza aveva perso il lavoro e le spese da sostenere erano molte». La Casa di Leo ha portato subito un po’ di luce e di calore in questa situazione così faticosa: «Mi sono subito sentito bene accolto. Ci andavo nei weekend e nelle festività per stare vicino a Lorenzo e Irina. Quando lui è stato sottoposto a trapianto ho chiesto di poter usufruire del congedo di maternità al posto di mia moglie, per restare vicino all’ospedale. All’inizio chiudevo la porta e non riconoscevo il rumore della serratura, le strade che percorrevo non erano le mie. Poi però i volti che avevo intorno sono diventati familiari: ho ricevuto amicizia e affetto, non solo vitto e alloggio». Nel momento più aspro, una sera in cui Luca si sentiva solo e disperato, perché le condizioni di Lorenzo peggioravano, a risollevarlo è stato il coraggio di Leo Morghen, il ragazzo a cui la Casa è dedicata: «Mi avevano regalato la sua foto, avevo guardato i suoi video. Nonostante fosse gravemente malato e la sua vita fosse diversa da quella dei coetanei, lui non si arrendeva mai, invitava gli altri a fare lo stesso e diceva di essere felice. Mi sono chiesto che cosa intendesse con quelle parole, e a forza di pensarci ho trovato la mia risposta, ho capito che dipendeva tutto da me. Da quel momento ho incominciato a sentirmi davvero a casa mia, a cambiare atteggiamento verso ciò che mi stava accadendo, ho ritrovato fiducia. Leo è rimasto il mio punto di riferimento, nella casa si sente sempre la sua presenza».

Qualche giorno prima del trapianto all’Ospedale di Bergamo è arrivata l’urna con le spoglie di San Giovanni XXIII: «Mio figlio – racconta Irina – tendeva le mani verso il santo e abbiamo pregato molto, è stato un momento speciale, la fede ci ha sostenuto in quelle giornate».

Dopo l’intervento Lorenzo ha trascorso un lungo periodo in terapia intensiva: «Le difficoltà – spiega Luca – non erano finite: il fegato non ripartiva, ci sono state molte crisi di rigetto, diverse infezioni. Noi però non ci siamo mai dati per vinti. Abbiamo incominciato a porci degli obiettivi per ogni giornata, piccoli, ma importanti. Ho instaurato una nuova routine, ho ricominciato a leggere, a svolgere attività sportiva, a prendermi di nuovo cura di me stesso. Davanti alle difficoltà ci vogliono disciplina, pazienza e speranza. Finalmente ho capito quali erano i passi giusti per incominciare a normalizzare la situazione. La domenica facevo una nuotata di un chilometro, con i miei ritmi».

Alla Casa di Leo Luca ha imparato anche l’importanza della condivisione: «Non bisogna chiudersi e allontanarsi dalla situazione ma cercare di affrontarla al meglio. Bastano una passeggiata nel parco e un caffè in compagnia per rompere l’isolamento. Parlare con gli altri è un modo per allontanare gli incubi. Nella Casa c’erano altri bambini, li guardavo giocare, a volte trovavo un pasto caldo da condividere con altri genitori che avevano vissuto una giornata difficile come la mia. Questa esperienza mi ha aiutato ad aprirmi alla vita, a gustare la bellezza dell’amicizia, della comprensione, di un semplice abbraccio».

Quando le condizioni di Lorenzo erano precarie, Luca si sentiva disperato: «Alla Casa di Leo però trovavo un po’ di tranquillità, qualche piccola comodità, l’appoggio di volontari preparati che sono diventati veri amici. Spero che molte altre famiglie incontrino questa realtà nel loro percorso».

Le imprese a nuoto

La famiglia Foletti ha pensato che un’esperienza così forte, drammatica ma non priva di bellezza, meritasse un seguito: «Vogliamo trasmettere ad altri il coraggio e la speranza che hanno sostenuto noi». Così Luca ha tentato la sua prima grande impresa, la traversata del lago d’Iseo a nuoto: «Un gesto forte per veicolare il messaggio che avevamo nel cuore, per dire che ci sono onde che vanno più lontano dell’orizzonte. Ho messo insieme da solo l’attrezzatura che mi serviva per la gara, acquistandola su internet, e ho fatto preparare una maglia a tema. Ho intensificato gli allenamenti, gradualmente ho allungato le distanze. Durante la traversata ho avuto qualche problema tecnico, è arrivato un momento in cui pensavo proprio di lasciar perdere, alla fine però ce l’ho fatta». Dopo quell’impresa ne ha compiute altre: la traversata Angera-Arona, la distanza di tremila metri a Desenzanonuota: «Così, grazie all’attenzione dei media, il nostro messaggio ha incominciato a viaggiare».

Il 22 settembre scorso finalmente Lorenzo ha lasciato l’ospedale: «Abbiamo avviato il nostro progetto di solidarietà per dire a tutti che la vita è bella ed è un grande dono anche quando parte in salita, con una malattia rara, com’è successo a nostro figlio. È importante che tutti abbiano la possibilità di scegliere e di accedere alle cure migliori, per questo vogliamo sostenere Amei ed Eos Onlus, che operano accanto alle famiglie. Abbiamo avviato una raccolta fondi, le traversate ci aiutano a ottenere attenzione e visibilità. Il 13 giugno tenterò di attraversare lo Stretto di Messina, andata e ritorno, senza pinne. Sarà dura ma lotterò come un leone». Il progetto si trova su internet, www.insiemeoltreleonde.it, e sui social network. Così il bene ne genera altro, creando un circolo virtuoso: «Abbiamo ricevuto tanto, non possiamo voltarci dall’altra parte sapendo che ci sono altre persone che soffrono».

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