La lettera dei medici del Papa Giovanni
«Catastrofe da cui trarre insegnamento»

La lettera di alcuni medici in servizio all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo pubblicata nella sezione Catalyst del New England Journal of Medicine, una delle più autorevoli riviste medico-scientifiche in campo internazionale.

«La catastrofe che sta travolgendo la ricca Lombardia potrebbe verificarsi ovunque». Si conclude così la lettera di alcuni medici in servizio all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo pubblicata nella sezione Catalyst del New England Journal of Medicine, una delle più autorevoli riviste medico-scientifiche in campo internazionale.

Dopo un lungo sfogo sulla situazione in cui i firmatari del documento si trovano ad operare - «Qui la situazione è così grave che siamo costretti a operare ben al di sotto dei nostri standard di cura» (…), «Gli ospedali sono sovraffollati e prossimi al collasso, e mancano le medicazioni, i ventilatori meccanici, l’ossigeno e le mascherine e le tute protettive per il personale sanitario» (…), «Il sistema sanitario fatica a fornire i servizi basilari (…). Il personale sanitario è abbandonato a se stesso mentre tenta di mantenere gli ospedali in funzione» - la lettera si sofferma sulle prospettive dei sistemi sanitari una volta usciti da questa drammatica emergenza.

I sistemi sanitari occidentali sono costruiti mettendo al centro il malato, - scrivono Mirco Nacoti,Andrea Ciocca, Angelo Giupponi, Pietro Brambillasca, Federico Lussana, Michele Pisano, Giuseppe Goisis, Daniele Bonacina, Francesco Fazzi, Richard Naspro e altri - ma un’epidemia richiede un cambio di prospettiva verso un approccio che metta al centro la comunità. «Stiamo dolorosamente imparando che c’è bisogno di esperti di salute pubblica ed epidemie, a livello nazionale, regionale e di ogni singolo ospedale. Ci manca la competenza sulle condizioni epidemiche, che ci possano guidare ad adottare misure speciali per ridurre i comportamenti epidemiologicamente pericolosi. Stiamo imparando che gli ospedali possono essere i principali veicoli di trasmissione del Covid-19, poiché si riempiono rapidamente di malati infetti che contagiano i pazienti non infetti. Lo stesso sistema sanitario regionale contribuisce alla diffusione del contagio, poiché le ambulanze e il personale sanitario diventano rapidamente dei vettori».

Questo disastro, prosegue la lettera, poteva essere evitato solo con un massiccio spiegamento di servizi alla comunità, sul territorio. «Per affrontare la pandemia servono soluzioni per l’intera popolazione, non solo per gli ospedali. Cure a domicilio e cliniche mobili evitano spostamenti non necessari e allentano la pressione sugli ospedali. Ossigenoterapia precoce, pulsossimetri, e approvvigionamenti adeguati possono essere forniti a domicilio ai pazienti con sintomi leggeri o in convalescenza. Bisogna creare un sistema di sorveglianza capillare che garantisca l’adeguato isolamento dei pazienti» utilizzando la telemedicina. «Questo approccio limiterebbe l’ospedalizzazione a un gruppo mirato di malati gravi, diminuendo così il contagio, proteggendo i pazienti e il personale sanitario e minimizzando il consumo di equipaggiamenti protettivi».

«Questa epidemia non è un fenomeno che riguarda solo la terapia intensiva, è una crisi umanitaria e di salute pubblica. Richiede l’intervento di scienziati sociali, epidemiologi, esperti di logistica, psicologi e assistenti sociali. Abbiamo urgente bisogno di agenzie umanitarie che operino a livello locale». In Cina, conclude la lettera, « il distanziamento sociale ha ridotto la trasmissione del contagio di circa il 60%. Ma non appena le misure restrittive saranno rilassate per evitare di fermare l’economia, il contagio ricomincerà a diffondersi».

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