L’ordinazione di nove diaconi in Seminario: testimonianza di vocazione e di servizio

La cerimonia. Stasera, alle 20.30, in Seminario. «Questi giovani sanno di essere una grande risorsa non anzitutto per propria virtù, ma perché hanno incontrato qualcuno e qualcosa che li ha resi davvero la «versione migliore» di loro stessi.

La cerimonia dell’ordinazione diaconale è sempre un momento di grazia speciale per la vita di una diocesi: la scelta di qualcuno di mettere la propria vita a servizio di Dio e dei fratelli rende visibile una Chiesa che ha ancora il desiderio di camminare nella storia a fianco di tutti, in particolare degli ultimi. C’è sempre bisogno di qualcuno che per cambiare le cose metta in gioco anzitutto se stesso. L’entusiasmo è ancora maggiore quando il diaconato è la tappa intermedia, ma già definitiva, del cammino verso il sacerdozio. È quello che avverrà sabato sera (29 ottobre) alle 20.30 nella chiesa del Seminario, quando 9 giovani della nostra diocesi diranno il loro sì di fronte al vescovo Francesco. Sono i nove giovani che poi, a fine maggio, saranno ordinati preti, quelli che le nostre comunità e i nostri oratori aspettano: Lorenzo Bellini di Telgate, Paolo Capelletti di Cologno al Serio, Marco Nicoli di Desenzano al Serio, Andrea Patelli di Credaro, Attilio Rossoni di Colognola in Bergamo, Gabriele Trevisan di Pontida, Andrea Vecchi di Villa di Serio, Matteo Vezzoli di Romano di Lombardia e Simone Zappella di Chiuduno.

«Questi nove giovani sanno di essere una risorsa non anzitutto per propria virtù, ma perché hanno incontrato qualcuno e qualcosa che li ha resi la versione migliore di loro stessi».

Ma che cosa è il diaconato? Perché ne abbiamo bisogno come Chiesa e come comunità cristiane? Si potrebbe pensare che la gioia più grande venga dal numero: una decina di nuove leve, in un solo colpo, era da un pezzo che non si vedevano nella nostra Diocesi. È vero, e questo è motivo di grande gioia. Ma sappiamo anche, già fin d’ora, che si tratta di un’eccezionalità e che le prossime annate non saranno così generose. Ancora, si potrebbe credere che il dono più importante è il servizio concreto che questi ragazzi svolgeranno per la Chiesa e il Regno, mettendo in gioco le loro forze e il loro fresco entusiasmo, di cui le nostre comunità sentono il bisogno come se fosse ossigeno. Ma la messe è molta e gli operai rimangono comunque troppo pochi per le numerose esigenze delle nostre comunità cristiane. Ancora, non manca chi si complimenta con loro come se fossero degli eroi che hanno fatto una scelta impossibile: ma ciascuno di questi giovani sarebbe in imbarazzo e in fatica a riconoscersi nei tratti del supereroe, della meglio gioventù, o dell’eccellenza con cui li dipinge una certa retorica.

Questi nove giovani sanno di essere una risorsa non anzitutto per propria virtù, ma perché hanno incontrato qualcuno e qualcosa che li ha resi la versione migliore di loro stessi. Questo è il primo e grande dono che fanno alla nostra Chiesa: il dono di una testimonianza. È un regalo simbolico e umile come il loro sì, prima che utilitaristico e pragmatico perché serve qualcuno che mandi avanti la baracca della pastorale delle comunità cristiane – e se c’è un prete a farlo è meglio. Le nostre parrocchie e la nostra Chiesa hanno bisogno di qualcuno che le aiuti a vedere l’invisibile di Dio. È questo invisibile diventa un po’ meno lontano quando qualcuno appoggia su di esso la propria vita: sarà anche invisibile, ma non è inconsistente. Senza questo, il Dio invisibile diventa velocemente assente, e le comunità cristiane si trasformano in club di animazione per bambini, in intrattenimento che insegna un po’ di buona educazione, in svago e in riti sociali equivalenti a tanti altri.

«Questi giovani raccontano che, al di là dei giovanilismi che si illudono di fermare lo scorrere del tempo dentro la bolla di un’eterna giovinezza, crescere ha a che fare con scelte che sanno di amore e di responsabilità».

Il secondo regalo è una testimonianza di vocazione. È una parola fuori corso, che ha l’odore demodé tipico del lessico cristiano invecchiato troppo velocemente per le orecchie del mondo di oggi. In realtà è la parola che descrive la leva senza cui l’ostrica della vita non regala la sua perla. Questi giovani raccontano che, al di là dei giovanilismi che si illudono di fermare lo scorrere del tempo dentro la bolla di un’eterna giovinezza, crescere ha a che fare con scelte che sanno di amore e di responsabilità. È vero, questo non ferma il tempo, lo accelera. Perché lo riempie. La fede cristiana ha bisogno continuamente di chi racconti con la propria esistenza che ciò che porta avanti il mondo è scegliere qualcosa che ha a che fare con il «per sempre». È per il gusto di un amore che si vorrebbe non finisse che si possono prendere quelle responsabilità che nessuno vorrebbe, ma senza le quali il futuro non viene avanti: la responsabilità di generare (è un verbo che vale anche per le comunità cristiane, non solo per i figli…), di prendersi cura, di educare, di soffrire per.

L’ultimo regalo è una testimonianza di servizio. I diaconi nella bibbia hanno il compito di servire. Questi nove ragazzi scommettono su Dio e sulla Chiesa la loro libertà, l’unica che hanno. La nostra Chiesa, anche se a volte la sentiamo terribilmente goffa e affaticata, è più probabile che cambi non per il vigore delle critiche, ma per la passione e il mettersi in gioco di qualcuno. Questo è il loro servizio più vero.

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