«Non illudiamoci sul vaccino»
Il microbiologo: solo in primavera

Il microbiologo Clerici: «Il virus resta immutato per virulenza e capacità di far ammalare. Anche in Bergamasca non c’è l’immunità di gregge».

La situazione non è tanto diversa da questa primavera: i pronto soccorso sono pieni, i ricoveri in aumento e la Lombardia è in lockdown, seppure in forma più lieve. Oggi il Covid si riesce a curare meglio e i positivi si individuano prima, ma la popolazione deve stare attenta. Il vaccino non arriverà prima di qualche mese e con il virus dovremo convivere almeno un altro anno. L’analisi di Pierangelo Clerici, presidente dell’Associazione microbiologi clinici italiani e primario di Microbiologia all’ospedale di Legnano, è lucida: «Siamo ancora in guerra, le malattie infettive, soprattutto quelle a trasmissione aerea, si combattono con la responsabilità dei singoli, non solo con l’intervento delle istituzioni».

Professore, con la ricerca del vaccino a che punto siamo?

«Non possiamo illuderci: prima della tarda primavera non avremo le dosi per iniziare a vaccinare e ci vorranno altri mesi prima di poterlo somministrare a tutti. C’è stata una forte accelerazione, rispetto agli 8 anni che servono in media per preparare un vaccino».

E se il virus mutasse?

«Non ce lo auguriamo. Tutti temevano che mutasse in estate, ma non ha cambiato le sue caratteristiche principali: la virulenza, ovvero la capacità di aggredire l’uomo, e la patogenicità, cioè la capacità di dare malattia. Sono cambiati i numeri: finisce meno gente in Rianimazione perché la fascia d’età colpita in questa seconda ondata è inferiore, tra i 45-60 anni. Oggi il 50% dei positivi è asintomatico, il 20% ha scarsi sintomi, un altro 20% ha sintomi un po’ più importanti (febbre, mialgia, dolori muscolari o alle articolazioni). E solo il 10% dev’essere ricoverato in ospedale».

Essere positivo vuol dire essere malato?

« No, bisogna distinguere tra infezione e malattia. L’infezione è quando il microrganismo entra nel nostro corpo e ci resta, la malattia è quando svolge la sua azione patogena».

Una persona positiva è sempre contagiosa?

«Dipende dalla carica virale, che spesso però non viene calcolata. Piuttosto, si dovrebbe guardare la reattività di chi riceve il virus, perché se un anziano è ad alto rischio, un giovane di 30 anni può contagiarsi senza ammalarsi».

Da qui la necessità di tutelare gli anziani.

«Sì, ma non solo. Vanno protetti anche gli immunodepressi, chi ha subito trapianti e chi soffre di altre malattie».

Il fatto che per ora la provincia di Bergamo sia meno colpita può essere dovuto a una sorta di immunità di gregge acquisita?

«I dati non inducono a pensare questo. Quando si è verificata la presenza di anticorpi nella popolazione della Valle Seriana, per esempio, solo il 45-50% ne aveva. Per parlare di immunità di gregge bisogna arrivare almeno al 90%. Nella Bergamasca incide piuttosto la responsabilità dei singoli, che si sono protetti in maniera adeguata, facendo tesoro dell’esperienza di primavera».

Come si spiega la vertiginosa impennata dei contagi a metà ottobre?

«È la conseguenza delle vacanze e dell’apertura delle scuole, che rappresentano un fattore di rischio perché collegate ai trasporti e alla socializzazione dei ragazzi, soprattutto di quelli più grandi. I dati rivelano che la seconda ondata potrebbe aver genesi dalla Spagna, che è stato un luogo di vacanze importante anche per gli italiani».

Si parla tanto di vaccino, ma poco delle cure...

«Non c’è ancora una terapia ad hoc, se non l’utilizzo degli anticorpi monoclonali, somministrati ancora in maniera sperimentale. Abbiamo il cortisone, l’eparina e soprattutto la terapia di supporto data dall’ossigeno; e l’esperienza di questa primavera consente di avere almeno dei protocolli mirati per tipologia di paziente».

Una persona può contrarre il virus più volte?

«Abbiamo finora circa 50 casi accertati di reinfezione a livello mondiale, soprattutto nel Sudest asiatico. Sappiamo che c’è chi mantiene gli anticorpi a sette mesi dall’infezione e chi li perde dopo tre mesi. Bisognerebbe scoprire se chi conserva gli anticorpi, mantiene quelli neutralizzanti, cioè quelli che davvero agiscono sul virus».

Per quanto tempo avremo a che fare con il Covid?

«Potrebbe permanere ancora un anno, poi credo che scomparirà naturalmente. Piuttosto, dovremo confrontarci sempre più spesso con i virus che fanno il salto di specie animale-uomo, i più pericolosi. Ciò che stiamo sperimentando con il Covid è un utile esercizio per quello che ci aspetterà nei prossimi anni».

Quali conseguenze può lasciare questo virus nelle persone che lo hanno contratto in maniera virulenta?

«Potrebbero esserci sequele respiratorie e cardiache importanti, ma anche conseguenze neurologiche e ai reni. Il ministero della Salute e le Regioni monitoreranno per due anni con esami e visite gratuite i pazienti colpiti dal Covid».

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