«Pillola contro il Covid al vaglio dell’Ema. Risultati incoraggianti»

Clavenna sull’antivirale della Merck che si assume a casa. «Impedisce la replicazione del virus nei contagiati. Aspettiamo il via libera».

La prima pillola contro il Covid-19 potrebbe essere presto approvata dall’Ema, l’agenzia regolatoria europea. L’ente con sede ad Amsterdam ha annunciato di aver iniziato il processo di valutazione dell’antivirale orale molnupiravir, prodotto dall’ americana Merck & Co e da Ridgeback Biotherapeutics. Se l’Ema concedesse il via libera, si tratterebbe del primo farmaco da assumere a domicilio per contrastare la malattia indotta da Sars-Cov-2.

Gli studi di sperimentazione condotti su oltre 760 volontari contagiati, sparsi per il mondo, hanno documentato la capacità dell’antivirale di dimezzare il rischio di ospedalizzazione e ridurre fortemente i decessi nelle persone risultate positive al virus: fra i 385 volontari trattati con il farmaco si sono registrati 28 ricoveri (7,3%) e zero decessi, mentre nel gruppo dei 377 cittadini trattati con il placebo 53 ricoveri (14,1%) e otto morti.

«Aspettiamo di vedere i dati completi dello studio sul molnupiravir, non ancora pubblicati – osserva Antonio Clavenna, farmacologo, responsabile del laboratorio di Farmacoepidemiologia dell’Istituto Mario Negri –, ma i risultati sembrano incoraggianti. Soprattutto in virtù del fatto che l’unico altro antivirale fino ad ora utilizzato contro il Covid-19, il remdesivir, impiegato in contesto ospedaliero, sul campo si è dimostrato molto poco efficace».

Professor Clavenna, come funziona la pillola molnupiravir?

«Si tratta di un farmaco in grado di impedire la replicazione del virus nelle persone contagiate. Detta in maniera semplice, l’antivirale imbroglia l’enzima del virus deputato alla replicazione inserendosi nell’Rna virale, che viene reso così incapace di crescere e replicarsi. Negli studi di sperimentazione il farmaco è stato somministrato sotto forma di una pillola assunta due volte al giorno per cinque giorni, entro cinque giorni dalla comparsa dei sintomi».

Il farmaco è efficace anche in presenza delle varianti di Sars-Cov-2?

«Sì, proprio perché agisce su un meccanismo comune a tutte le varianti: il suo bersaglio è l’enzima deputato alla replicazione, e non la proteina spike, dove si accumulano le principali mutazioni. Certo, se il virus mutasse a tal punto da avere un enzima diverso, allora si potrebbe porre il problema: fino ad ora non è mai successo».

Un’efficacia al 50% è davvero un risultato incoraggiante?

«Se dovesse essere confermato sul campo sì, sarebbe un risultato lusinghiero. Basti pensare che un comitato indipendente di esperti in consultazione con l’Fda ha interrotto gli studi di sperimentazione, proprio per via dell’efficacia risultata evidente. La percezione fra i non addetti ai lavori potrebbe essere diversa, ma vanno tenuti in conto almeno due aspetti. Il primo è che dimezzare i casi che necessitano di ospedalizzazione e ridurre drasticamente i decessi è un ottimo traguardo».

Il secondo?

«Ottenere farmaci efficaci al 100% contro le infezioni virali è un’impresa ardua. Nella storia dei farmaci siamo riusciti a formulare composti ottimi contro le infezioni batteriche, ma se guardiamo ai virus – pensiamo a quello dell’influenza, per esempio, o al coronavirus responsabile della Mers – non sempre abbiamo ottenuto farmaci di forte efficacia. Non è detto che ci si riesca nemmeno contro Sars-Cov-2».

Vede qualche limite nella pillola molnupiravir?

«Ce ne sono almeno due. Il primo è che va assunta entro cinque giorni dalla comparsa dei sintomi, e sappiamo che in alcuni casi non è scontato ottenere una diagnosi immediata. Il secondo è che, almeno all’inizio, non sarà un farmaco per tutti: gli studi si sono concentrati sugli over 60 e su chi ha almeno un fattore di rischio. Questo non significa che non rappresenti, in ogni caso, uno strumento prezioso, da impiegare – fra l’altro – a domicilio».

I più restii alla vaccinazione chiedono si dia maggiore risalto alla cure a disposizione contro il Covid.

«Quali? A parte il protocollo domiciliare con l’uso precoce di antinfiammatori per chi accusa i primi sintomi elaborato da Giuseppe Remuzzi e da Fredy Suter, non ce ne sono. Se non per curare i casi più gravi. Farmaci e trattamenti come idrossiclorochina e plasma iperimmune sono stati dichiarati inefficaci, mentre la cura a base di anticorpi monoclonali, pur essendo efficace, sconta la necessità della somministrazione in ospedale e nei primi giorni di malattia. La verità è che contare solo sui farmaci per contrastare quest’epidemia è un atteggiamento perdente».

In che senso perdente?

«È perdente sia in ottica individuale che collettiva. Dal punto di vista del singolo, un farmaco che metta completamente al riparo dal Covid non c’è: a proteggere dal rischio di ospedalizzazione e morte più di qualsiasi terapia c’è solo il vaccino. Dal punto di vista collettivo, è ancor più evidente: se anche assumiamo il farmaco, lo assumiamo quando siamo già stati contagiati, quando abbiamo con ogni probabilità già infettato qualcun altro, dopo aver consentito al virus di circolare, e – come sappiamo – di mutare. Ecco, il vaccino evita tutto questo»

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