Servire la vita, servire la gioia di vivere. Perché la vostra gioia sia piena

LA LETTERA PASTORALE. Di Monsignor Francesco Beschi, Vescovo di Bergamo.

L’anno del Giubileo volge al termine, segnato dalla morte di Papa Francesco e dall’inizio del servizio di Papa Leone. Un anno all’insegna della misericordia e della speranza. Uno dei frutti della esperienza vera e profonda del Giubileo è la gioia, la gioia del Vangelo. Desidero raccogliere e offrire il frutto della gioia al tempo che ci attende e soprattutto alle donne e agli uomini che compongono il tempo con la loro vita. Se abbiamo assunto la figura di “pellegrini di speranza”, ritengo che possiamo arricchirla con quella di “testimoni della gioia, della gioia del Vangelo”.

Mi sembra doverosa una premessa: le parole della gioia esigono pudore, il pudore consapevole della vastità del dolore e della sofferenza che provocano oscurità e tristezza.

La gioia va evocata “in punta di piedi”, non per paura e tanto meno per scaramanzia, ma per rispetto e condivisione dei sentimenti di sofferenza

“Crisi drammatiche hanno intersecato il nostro andare, lasciandovi tracce indelebili, … La pandemia, l’aggiungersi di nuovi “pezzi” alla terza guerra mondiale in atto, le catastrofi ambientali acuite in intensità e frequenza dal riscaldamento globale, la crescita del disagio psichico soprattutto fra gli adolescenti, l’accentuata criminalizzazione dei migranti, il lievitare dei ricavi dell’industria delle armi, l’ampliarsi delle diseguaglianze, il ripetersi di femminicidi e omicidi familiari, l’inadeguatezza del sistema carcerario, la polarizzazione, l’accentuarsi della disaffezione politica ed elettorale. Sofferenze indicibili incise sulla pelle delle donne e degli uomini che pellegrinano sui sentieri polverosi della contemporaneità” (dal Cammino Sinodale delle Chiese in Italia).

La gioia dunque va evocata “in punta di piedi”, non per paura e tanto meno per scaramanzia, ma per rispetto e condivisione dei sentimenti di sofferenza, dolore, sgomento, rabbia, rassegnazione, disperazione che appesantiscono e lacerano il cuore di una moltitudine. In questi anni lo spettro della guerra si è fatto incombente anche in Europa e ci sta rendendo consapevoli che condizioni di deprivazione della vita sono molto più diffuse, trasversali e possibili di quello che pensavamo. La resistenza a lasciarci toccare o ad avvicinarci a coloro che vivono queste condizioni è forte e a volte sembra diventare ancora più intangibile, giustificandosi con ragioni che diventano inappellabili.

In alcune regioni dell’Africa vi è una parola che esprime una verità molto evangelica: “ubuntu” che significa “io sono, perché noi siamo; come è possibile che uno di noi sia felice, se tutti gli altri sono tristi?”.

Leggi la lettera completa sulla copia digitale de L'Eco di Bergamo di sabato 13 settembre

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